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It’s not easy to be me. Cappielow, The Titan Crane e un calcio che non c’è quasi più

Il Cappielow Park visto dalla collinetta-parcheggio che sorge dietro la terrace di casa, la Sinclair Street End

Durante i miei anni da “rugby blogger” ho avuto la fortuna di conoscere moltissime persone e tutte, chi più chi meno, hanno lasciato un segno.

Tra queste, Alan ha davvero avuto un ruolo importante perché con lui, nel pre-partita di numerose gare di rugby, si parlava davvero di tutto – e soprattutto di calcio scozzese.

È stato proprio Alan a parlarmi di due stadi che sono diventati, immediatamente, instant classics per me: uno è il Dumbarton Football Stadium, chiamato anche comunemente The Rock e il cui nome attuale è, per ragioni di sponsor, The C&G Systems Stadium (di questo parleremo con calma prossimamente), l’altro è il Cappielow Park.

“Welcome to Cappielow”, la scritta che ti accoglie all’ingresso dei tornelli della Sinclair Street End

Proprio della casa del Greenock Morton FC voglio parlare oggi, un posto diventato, come detto, non solo un classico ma addirittura, già dal di fuori, eletto come uno dei miei personali “luoghi dell’anima” calcistici.

Ci sono tanti motivi per cui il Cappielow Park mi ha colpito, mi è entrato dentro come un pugno (parafrasando Vasco) e, da quel giorno di agosto 2019, non mi ha più lasciato. Cercherò di spiegarli qui sotto, ma consiglio fin da adesso di andarlo a visitare di persona, appena avrete occasione di viaggiare ancora e di venire in Scozia.

Il Cappielow Park visto dalla Sinclair Street End

Perché è vero che, per esempio, Tynecastle Park, Celtic Park, Ibrox Park o Easter Rd (o anche il Pittodrie) vanno visitati almeno una volta, ma negli stadi di “provincia” si respira ancora, davvero, il sapore di un calcio che non c’è ormai quasi più. Certo, in Scozia è comunque difficile trovare (per fortuna!) stadi “moderni” senz’anima, anche dopo la ristrutturazione, perché le dimensioni sono rimaste comunque ridotte o come nel caso del Celtic Park il Main Stand, considerato edificio di interesse storico, non è stato toccato.

Faccio però sempre questo esempio: se ti capita di andare a Madrid e ti piace il calcio, certo che val la pena andare a vedere il Real Madrid in casa almeno una volta, ma io preferisco di gran lunga l’atmosfera respirata a Vallecas e considero il Rayo Vallecano decisamente la mia squadra in Spagna.

Insomma, mi ricordo ancora quel giorno di agosto di un anno e mezzo fa, quando decisi di prendere il mio zaino, un bus, tre treni e andare verso ovest alla scoperta di un’area che davvero non conoscevo.

Ero già stato in Renfrewshire un anno prima, a Paisley, per la gara della Nazionale Femminile contro la Svizzera giocatasi al St Mirren Park, ero già stato a Dumbarton a vedere gli Hearts ma non ero mai andato oltre The Rock e non ero mai stato in Inverclyde.

Il panorama che si può gustare dal Newark Castle di Port Glasgow

Da Edimburgo, per arrivare a Greenock, si deve prendere treno per Glasgow Queen’s St, fare quattro passi a piedi nel centro cittadino e dirigersi verso Central Station (edificio stile liberty davvero stupendo), da dove partono i treni per l’Ovest (Hampden Park, Paisley e Greenock) e sotto la linea tracciata dalla Clyde. Per andare a Dumbarton, per esempio, basta restare all’interno di Queen’s St e scendere una scala per raggiungere i binari sotterranei (che ti portano anche alla SSE Hydro o allo Scotstoun Stadium).

Anzitutto, come dico sempre, il viaggio da solo vale il prezzo del biglietto. Consiglio di sedersi lato destro all’andata per gustarsi il panorama offerto dalla Clyde. Ad un certo punto si vede, sull’altra sponda, The Rock in tutto il suo splendore con il Dumbarton Castle e lo stadio che sorge proprio sotto la collina.

La Gourock Bay vista dalla Lyle Hill

Essendo socio di Historic Scotland, ho organizzato il viaggio in modo da poter fare tappa a Port Glasgow per visitare il Newark Castle – qui tutte le info. Piacevole scoperta devo ammettere, Port Glasgow, di cui avevo sempre letto in termini tutt’altro che entusiastici.

Ma una scoperta ancora più piacevole mi attendeva qualche miglio più ad ovest. Sceso alla stazione di Fort Matilda (non prima di essermi goduto un primo scorcio del Cappielow Park dal treno), mi sono incamminato sulla strada che, in salita, porta verso la Free French Memorial Cross, ultima tappa prima della partita del giorno (Greenock Morton-Partick Thistle, anticipo della terza giornata di Scottish Championship in programma venerdì 23 agosto 2019 con kick off alle 7.05pm e diretta tv su BBC Scotland).

La Free French Memorial Cross

Greenock, cosi come Port Glasgow, non ha mai avuto una grandissima reputazione ma Gourock è davvero sorprendente. Non nascondo che, non essendo proprio allenatissimo, la salita al monumento è stata piuttosto faticosa ma in termini “logistici”, diciamo cosi, la strada per arrivarci è davvero perfetta. Volendo credo si possa anche prendere un taxi ma se non avete fretta (e il meteo lo consente), consiglio il “sacrificio” di fare la strada a piedi.

Dopo una meritata sosta su una delle panchine che si trovano attorno al monumento, torno a Fort Matilda ed inizio ad entrare in clima-partita. Premetto che non ero emotivamente coinvolto dalla gara; ho una grande simpatia per il Partick Thistle che quell’anno avevo già visto una volta (in casa contro il Dundee United in un altro Friday Night di Championship) ma la gara era stata scelta piuttosto a caso, più per il fatto che in quel weekend non avessi altri impegni, il kick off alle 7.05pm mi garantiva un ritorno in treno tranquillo senza dover correre in stazione e avevo poi due giorni davanti per riposare.

La Titan Crane che domina la The James Watt Marina di Greenock e rende cosi speciale una visita al Cappielow Park

La stazione di riferimento per il Cappielow Park è Cartsdyke, all’angolo all’uscita c’è un pub e praticamente subito dopo, svoltando a destra in E Hamilton St, si incontra subito una delle protagoniste: The Titan Crane. Costruita nel 1917, è una delle ultime quattro gru “della sua specie” (ovvero costruite dalla James Watt) rimaste in Scozia ed è una delle maggiori attrazioni della zona.

Il Cappielow Park, infatti, sarebbe un posto piuttosto “normale” se la gru del porto non apparisse, in tutto il suo splendore, sullo sfondo dello stadio. Quella gru è di fatto un simbolo della zona e ha un impatto cosi grande nell’immaginario collettivo che meriterebbe, a mio parere, un posto ancora più significativo all’interno del club – non me ne voglia Cappie The Cat, la mascotte della squadra per cui, da gattaro convinto, ho più di un debole ma forse Titan The Crane sarebbe più appropriato!

La vista che ti accoglie all’uscita dei bagni nella Sinclair St End…

Il colpo d’occhio, appena entrato nella gradinata dietro la porta, è davvero suggestivo ed ha tutto quello che mi aspettavo: l’imponente gru sullo sfondo, proprio dietro la Cowshed, la terrace che mi accoglie è davvero “vecchio stile” e anche la vista all’uscita dai bagni è spettacolare!

Sono stato fortunato, va detto, perché il meteo era clemente e, nonostante ci fossero molte nuvole in cielo (come spesso capita qui), nessuna di loro aveva voglia di portarci pioggia. Contando che io sono andato alla partita a fine agosto e già, quando il sole è tramontato, l’antipioggia non mi dava fastidio, posso solo immaginare quanto possa far freddo durante il lungo autunno/inverno…

Il match programma della gara tra Greenock Morton FC e Partick Thistle FC

La partita in sé è interessante, il Partick Thistle va avanti (0-2) ma nella ripresa il Morton riesce a ribaltare il risultato, vincendo 3-2. I Jags confermarono, anche in quel giorno, i segnali tutt’altro che positivi già visti in avvio di stagione e il ritorno in treno dei tifosi giallorossi, con cui viaggio tra Cartsdyke e Glasgow Central, sarà davvero mesto. La scorsa stagione è stata dichiarata chiusa in marzo e, a causa delle pressioni di molte parti (Celtic per salvare il 10-in-a-row, Dundee Utd e Raith Rovers per veder confermata la promozione nella categoria successiva) la SPFL decise, al termine di una votazione entrata ormai nella storia (anche se, ahimè, dalla porta sbagliata e con il ruolo di villain riservato al Dundee FC) di confermare le posizioni in classifica dell’ultima gara giocata, condannando cosi Hearts (e Jags) alla retrocessione.

Il calcio “moderno” è sbarcato, da tempo, anche in Scozia ma quassù (anche a causa dei fondi non proprio illimitati a disposizione della maggior parte dei club) si possono ancora vedere stadi come il Cappielow Park, stadi che “south of the border” stanno ormai scomparendo, sostituiti troppo spesso da “soulless bowls” costruite principalmente per aumentare il numero di spettatori che possono accedere all’evento e trasformare i tifosi in veri e propri “clienti”. Basti pensare, per fare un esempio clamoroso, al West Ham United che dopo l’addio al Boleyn Ground non è più riuscito a creare la giusta atmosfera o, anche, al Manchester City che via da Maine Road ha si ingrossato la bacheca ma decisamente perso l’anima da working class.

Mi ero ripromesso, appena messo piede dentro al Cappielow Park chiudendo di fatto un’intensa giornata, di tornare ad ovest alla prima occasione possibile. La vita, nei mesi successivi, mi ha portato altrove prima che la pandemia mi chiudesse in casa. Quella promessa fatta a me stesso resta comunque valida, appena si potrà tornare a viaggiare ancora.

Il cartello appeso sopra l’uscita della Sinclair St End
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Hearts at BT Murrayfield, cosi vicini eppure cosi lontani…

Il colpo d’occhio del BT Murrayfield nell’immediato pre-partita di Hearts-Aberdeen

Dopo il trionfo nella ormai leggendaria finale di Scottish Cup del 2012 (il five-one sugli Hibs, ma il risultato corretto era 1-5 perché il club di Leith era stato designato come squadra di casa quel giorno di maggio ad Hampden Park), gli Hearts si erano risvegliati dall’hangover con un trofeo in più in bacheca, una storia da tramandare alle generazioni successive ma con un futuro imminente con moltissime incognite.

L’addio di Vladimir Romanov, padrone del club che osò sfidare l’Old Firm, ha portato gli Hearts alla retrocessione in due stagioni (ma solo grazie al -15 inflitto alla vigilia dell’annata 2013/14) ma allo stesso tempo dato occasione ai Jambos (attraverso il grande lavoro della Foundation of Hearts e di Ann Budge) di mostrare il loro amore incondizionato per il club.

L’unica vittoria degli Hearts al BT Murrayfield arrivò nel match contro il St Johnstone con goal di Lafferty

Parleremo altrove degli “anni di mezzo”, oggi mi interessa ricordare il periodo tra l’agosto 2017 e il novembre dello stesso anno, ovvero il periodo in cui gli Hearts furono costretti a traslocare al BT Murrayfield per quattro gare (dovevano essere tre, all’inizio) nel corso della stagione 2017/18 per consentire di terminare i lavori di costruzione del nuovo Main Stand – di cui parleremo prossimamente.

Chiusa la (triste) parentesi in League Cup, con l’eliminazione nella fase a gironi a tre punti di distacco dalla capolista Dunfermline (costata, de facto, il posto a Ian Cathro), gli Hearts avevano iniziato la stagione giocando molte gare lontano da casa per scelta propria (approvata dalla SPFL) in modo da avere più tempo per completare i lavori. Non potendo, però, giocare sempre in trasferta, come detto i Jambos avevano ottenuto dalla Scottish Rugby l’affitto del BT Murrayfield, la casa del rugby scozzese.

Poster della campagna lanciata dagli Hearts per il mini-pass valido per le 3 gare al BT Murrayfield

Prima gara nel catino di EH12 in programma il 9 settembre 2017 contro l’Aberdeen, gara valida per il quinto turno di Scottish Premiership. Gli Hearts, reduci da una stagione “senza infamia e senza lode”, avevano iniziato la nuova annata, come detto, in maniera tutt’altro che entusiasmante. Anche in Premiership, infatti, avevano raccolto solo quattro punti nelle prime quattro gare, frutto di una vittoria (a Kilmarnock), un pareggio (ad Ibrox) e due sconfitte (all’esordio al Celtic Park e al Fir Park di Motherwell).

Nonostante questo, più di 24mila spettatori erano presenti quel giorno nella casa del rugby scozzese. E nonostante le premesse, il risultato (0-0) stava strettissimo ai Jambos, che avevano dominato il match in lungo e in largo e solo la giornata ispiratissima di Joe Lewis, portiere dei Dons, aveva impedito ai “padroni di casa” di prendersi la vittoria.

Il colpo d’occhio del settore ospiti nell’immediato pre-gara di Hearts-Rangers

Vivendo davvero a cinque minuti a piedi sia dal Tynecastle, sia dal Murrayfield quell’anno avevo deciso di fare il mini-pass anche perché le avversarie dei primi turni, oltre ai Dons, erano St Johnstone e Rangers e c’era anche occasione di vedere calcio in uno stadio in cui, fino a quel momento, avevo solo visto decine di partite di rugby.

Gli Hearts giocarono altre quattro gare on the road prima di tornare al BT Murrayfield per la sfida contro il St Johnstone. Un mese e mezzo dopo l’esordio casalingo, in autunno ormai avanzato, era già tempo di cappotto pesante e cielo grigio e la prestazione delle due squadre in campo rispecchiava il meteo del giorno. Un goal di Lafferty, arrivato anche in maniera piuttosto fortunosa, aveva comunque permesso ai Jam Tarts di prendersi la prima vittoria in casa – nessuno, ovviamente, si aspettava di dover poi attendere quasi due mesi per poter gioire nuovamente per un successo degli Hearts in Gorgie.

I match programme delle quattro sfide giocatesi al BT Murrayfield

Gli Hearts arrivano alla sfida coi Gers, già il secondo scontro diretto in soli due mesi di campionato, decisamente senza i favori del pronostico ma il classico goal dell’ex (gran punizione di Kyle Lafferty oltretutto segnata proprio di fronte al settore ospiti) aveva illuso un po’ tutti. La doppietta di Kenny Miller (capitano quel giorno) e il goal di Windass avrebbero regalato il successo ai Rangers (1-3 il risultato finale) e condannato gli Hearts alla seconda sconfitta consecutiva (dopo il derby perso), seguita a ruota dalla brutta sconfitta patita una settimana più tardi per mano del Kilmarnock.

La partita col Kilmarnock, in programma il 5 novembre, doveva essere (secondo il piano della società) la gara che avrebbe segnato l’esordio degli Hearts al Tynecastle Park di fronte al nuovo Main Stand. Problemi con la consegna dei seggiolini e ritardi “fisiologici”, invece, costrinsero gli Hearts a dover affittare nuovamente il BT Murrayfield.

Match Programma e vista dal mio seggiolino in occasione di Hearts-Kilmarnock

I tifosi erano però stanchi dell’esilio e quel giorno la risposta in termini di pubblico fu tutto’altro che entusiasmante. Poco più di 16,300 spettatori (tra biglietti venduti per il match e abbonati) per uno spettacolo, onestamente, piuttosto deludente.

Il Killie era riuscito a vincere (1-2) andando avanti due volte e il goal di Isma Gonçalves non era bastato agli Hearts per prendersi almeno un punto. Gli Hearts avevano scelto questa gara per indossare il poppy in onore dei caduti di tutte le guerre, come tradizione nella gara casalinga più vicina alla data dell’armistizio (11.11) in cui solitamente viene anche celebrata una cerimonia speciale vicino all’Hearts Memorial Clock, situato vicino alla stazione di Haymarket (di questo parleremo prossimamente).

La vista dal mio posto per Hearts-Celtic, semifinale di Betfred Cup 2018/19 e ultima apparizione dei Jambos nella casa del rugby scozzese

Gli Hearts sono tornati ancora una volta a giocare al BT Murrayfield, nell’ottobre 2018 in occasione della semifinale di Betfred Cup contro il Celtic, gara giocata ad Edimburgo a causa dell’indisponibilità di Hampden Park. Anche quel giorno, ça va sans dire, è stato avaro di soddisfazioni per me e i miei fellow Jambos…

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Quando i Buddies fecero l’impresa

I tifosi del St Mirren festeggiano la vittoria nella semifinale di Scottish Communities League Cup nel gennaio 2013

Ieri pomeriggio [24 gennaio] il St Mirren è stato sconfitto 1-0 dal Livingston nella semifinale di Betfred Cup (League Cup), nonostante soprattutto nella ripresa i ragazzi di coach Goodwin abbiano davvero provato a ribaltare il risultato maturato in avvio.

Dovranno cosi attendere un’altra stagione prima di poter ripetere l’impresa compiuta nel 2013, quando ad Hampden Park riuscirono ad eliminare il Celtic proprio in semifinale – e sulla strada per andare ad alzare il trofeo due mesi più tardi, sempre al National Stadium ma stavolta contro gli Hearts.

Il Main Stand di Hampden Park, foto scattata 27.01.2013

Quel pomeriggio di fine gennaio (era domenica 27 gennaio 2013, kick off fissato per le 2.30pm) il St Mirren (di cui Goodwin era capitano) era sceso in campo come underdog, che più underdog non si può. Il Celtic di Neil Lennon era arrivato alla semifinale dopo aver battuto il Raith Rovers (4-1, quattro goal a firma di Gary Hooper) e il St Johnstone (5-0, a segno ancora Hooper, Mulgrew e Commons con un hat-trick), in campionato non aveva rivali (era la prima stagione dopo il fallimento dei Rangers, costretti a ripartire dall’allora Third Division) ed era lanciatissimo verso il treble, anche sulla scorta della buona performance in Champions League (dove era stato eliminato dalla Juventus agli ottavi).

Il St Mirren, invece, arrivava a quella sfida avendo giocato un turno in più (il format della competizione, allora chiamata Scottish Communities League Cup, era diverso da quello attuale ma anche allora le squadre che avevano chiuso nei primi posti in Scottish Premier League entravano nella competizione più avanti) e battuto, non senza qualche problema, Ayr United (secondo turno, 5-1), Hamilton Academical (terzo turno, 1-0 con goal di Mair al 90′) e Aberdeen (terzo turno, 2-2 dopo i supplementari e 4-2 ai rigori al Pittodrie).

St Mirren e Celtic entrano in campo prima della semifinale di League Cup del 27.01.2013

Danny Lennon, il manager dei Saints, aveva però già fatto esperienza da “mata-gigantes” da giocatore. Era infatti presente nella squadra dei Raith Rovers che, nel 1994 e proprio contro il Celtic, erano riusciti a vincere la League Cup ai rigori ribaltando un pronostico, forse, allora ancora più blindato di quello del 2013.

Danny non aveva potuto giocare la finale per infortunio, ma aveva contribuito alla vittoria nella semifinale giocatasi al McDiarmid Park contro gli Airdrieonians. Allora entrambi i club militavano in First Division (l’odierno Championship) e il premio della finale contro il Celtic ad Hampden Park valeva quasi come un titolo.

Vendita di sciarpe del Celtic sulla strada di fronte ad Hampden Park

Era la seconda volta, per me, ad Hampden Park quel giorno, nonostante fossi in Scozia da poco meno di sei mesi. Nell’ottobre 2012, infatti, avevo avuto occasione di visitare il National Stadium per vedere la Scozia femminile in azione contro la Spagna, nella gara di andata dello spareggio-qualificazione UEFA Women’s EURO 2013 (di questa gara parlerò altrove).

All’epoca non viaggiavo in treno ma mi spostavo con MegaBus (costavano meno e credevo fossero più comodi) e autobus locali quindi arrivai a Hampden girando per il Southside di Glasgow, col bus che (se ricordo bene) ha una fermata sulla strada principale in linea d’aria di fronte all’ingresso principale dello stadio (mentre arrivando in treno, dalla stazione Mount Florida, Hampden si vede dalla curva di solito destinata agli ospiti).

Il match programme della semifinale

Ricordo bene il viaggio verso Hampden Park, ricordo bene il pre-partita con gli spalti che si riempivano pian piano e il mismatch presente non solo in campo, ma anche nel numero di tifosi al seguito delle due squadre – col settore riservato ai tifosi del St Mirren unico punto ad interrompere la marea biancoverde, nonostante il National Stadium fosse tutt’altro che sold-out.

Tutti, come detto, ci aspettavamo che il Celtic vincesse la gara (chi più, chi meno anche piuttosto facilmente) ma i Buddies sono riusciti davvero a compiere un’impresa clamorosa, ancora più di quando, un paio di mesi più tardi, riuscirono a completare il trionfo battendo gli Hearts in finale (cui non bastò la doppietta di Ryan Stevenson per ottenere un successo nella “wee Cup” che manca ormai da decenni).

Il consueto “huddle” pre-partita dei giocatori del Celtic

A voler guardare indietro adesso, col senno di poi, in quella gara si potevano intravvedere negli Hoops i primi sintomi che sono poi diventati evidenti nelle stagioni successive, col Celtic che l’anno dopo fallí clamorosamente su tutti i fronti (tranne che in campionato), venendo eliminato dalla League Cup al terzo turno (loro prima apparizione stagionale, 0-1 in casa contro il Greenock Morton) e in Scottish Cup (al quinto turno, 1-2 ancora in casa ma stavolta contro l’Aberdeen).

Il match finí 3-2 (St Mirren era designato come “squadra di casa” e anche per questo il Celtic ha giocato in completa divisa nera, a questo link del sito della BBC trovate highlights e interviste post-partita) ma non andò per nulla come ci si attendeva. Il St Mirren, infatti, riuscì a portarsi avanti 3-1 (terzo goal a firma Steve Thompson, nato a Paisley ma con un passato ai Rangers) grazie anche all’errore di Mulgrew dal dischetto. Il difensore, nazionale scozzese, si era riscattato nei minuti finali fissando il risultato sul 3-2.

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Soldado de la “Cathro Revolution”

Le parole scritte da Cathro nel programma ufficiale della gara contro i Rangers, giocatasi al Tynecastle il 01.02.2017

Io ci ho creduto, lo devo ammettere. Io sono stato uno dei seguaci della “Cathro Revolution” fin dal primo momento e, nonostante purtroppo non sia andata a finire come mi aspettavo, non me ne vergogno.

Perché Ian Cathro da Dundee, diventato nel 2016 head coach degli Hearts – e il più giovane head coach in Scottish Premiership, coi suoi 30 anni quando ha firmato il contratto con il club del Tynecastle Park nel dicembre 2016 – a mio parere non ha avuto fortuna agli Hearts anche e soprattutto perché lo spogliatoio non lo ha voluto seguire.

Come ha ammesso Arnoud Djoum parlando a The Edinburgh Football Show (parole riprese dal Daily Record ieri, 23 gennaio), “He had his own character. He had his way of doing things and was more quiet, wanting to do things on his own. (…) For me, it was clear what he asked me to do so I didn’t have any problems with him. But for everyone, it maybe wasn’t clear and things weren’t good with him.

L’ex centrocampista degli Hearts ha anche confermato che Cathro e Bjorn Johnsen sono venuti alle mani negli spogliatoi del McDiarmid Park e che il centravanti norvegese era tornato a casa in taxi durante l’intervallo.

Anche nel comunicato stampa ufficiale degli Hearts che annunciava l’esonero nell’agosto 2017 (dopo l’eliminazione dalla League Cup) si legge, tra le righe, che il club ha scelto di separarsi dall’head coach a malincuore.

“The board wishes it to be known that this was a very difficult decision, reluctantly made, as every member of the board recognises Ian is an extremely talented young coach with a very bright future.  We thank Ian for all of his efforts and wish him well in the future.”

L’esonero di Cathro aveva spalancato le porte alla gestione di Levein come manager (che con Cathro aveva il ruolo di Director of Football), di cui (forse) parleremo un’altra volta.

Il fatto che Cathro, scelto dal board ma forse, al momento, troppo giovane per guidare una squadra di Premiership con giocatori non disposti a credere ciecamente ai suoi dettami di gioco, sia stato esonerato dopo soli sette mesi alla guida lascia pensare che la sua esperienza agli Hearts sia un fallimento totale, ma a mio parere cosi non è.

Il Tynecastle Stadium (con tanto di vecchio Main Stand) nell’immediato pre-partita della sfida tra Hearts e Rangers del 01.02.2017

È stata deludente, certo, ma gli Hearts sotto la guida di Cathro avrebbero davvero potuto fare molto bene.

Degli acquisti fatti da Cathro, solo Christophe Berra (ma il suo tempo agli Hearts sembra davvero essere giunto al termine) e Michael Smith sono ancora presenti, ma giocatori come Isma Gonçalves o Kyle Lafferty hanno fatto piuttosto bene al club anche sotto la gestione di Levein.

Proprio l’ex manager e Director of Football degli Hearts, che è stato esonerato da Ann Budge dopo una serie di prestazioni e risultati più che deludenti, ha ammesso in un’intervista all’Evening Telegraph (quotidiano di Dundee, città natale di Cathro) nel novembre scorso che Ian era “ahead of his time” quando è stato scelto come head coach degli Hearts.

When Robbie (Neilson) left, Ian Cathro was my idea,” ha detto Levein, che aveva avuto modo di lavorare con Cathro al Dundee United. “I’d worked with Ian at Dundee United and I convinced the board to take a chance on him. That didn’t work. There’s no doubting his coaching capabilities, but his life experience and being put in the hot seat, I don’t think he was quite ready for it.

La cosa più importante che dice Levein nell’intervista, forse, riguarda il ruolo dei media nel calcio scozzese: “In Scotland you’ve got to play the game with the media. I don’t think it was something Ian took too seriously. He thought he could just sort of fob people off and it wasn’t the most important thing he had to deal with.

“It’s just my opinion – he wasn’t engaging enough (with them) to get them onside. The other thing is, he was brilliant with the players. But the media stuff was a real problem for him.”

Lo stesso Cathro ha parlato, nel 2018, della sua esperienza agli Hearts dicendo che “There’s the group of people who think and believe that I represent some sort of young coach that is going to revolutionise Scottish football and bring it back up to date, and is Scottish, so this is a tremendous thing. Then there is the other side who naturally are uncomfortable with that idea and fight that with the opposites. Typically these guys know more people in the press, these guys have been around people longer and these guys have a bigger influence so the noise was louder.

La copertina del match programme tra Hearts e Rangers

Cathro (intervista rilasciata nel maggio 2018 a The Guillem Balague Podcast e ripresa da The Scotsman) continua dicendo che “One of the issues was the fact they were successful in creating a false sense of my character and personality, that was done right at the start. There is something that is really important which is no matter what size of the football club, what culture, wherever it is in the world, the fans need to believe in the person that stands at the side of the pitch in their football team.

Insomma, tutto il mondo è paese e anche in Scozia i media hanno un potere enorme di influenza sulle opinioni della gente. I tifosi degli Hearts non sono riusciti a capire il pensiero di Ian e non sono stati capaci di dargli tempo per esprimersi, perché forse si aspettavano troppo e troppo subito da un manager che, per avere successo e per mettere in campo le proprie idee di gioco, aveva ovviamente bisogno dell’appoggio incondizionato dei giocatori.

Io di Cathro, che è diventato strumentale nei successi di Espirito Santo prima al Rio Ave e adesso al Wolverhampton, avrò sempre un bellissimo ricordo. Io non potrò mai dimenticare la sistematica “distruzione” dei Rangers che gli Hearts misero in campo quella gelida sera di febbraio 2017.

Era la prima volta, per me, che vedevo i Rangers dal vivo e devo essere sincero, sia per loro che per il Celtic non ho davvero grande simpatia. Quella sera, al Tynecastle (che aveva ancora il vecchio Main Stand) c’era un’atmosfera particolare, c’era proprio l’aria della grande sfida e tutti i 17mila presenti allo stadio possono confermare che sembrava quasi una finale.

Gli Hearts venivano da due sconfitte consecutive (dopo aver umiliato 4-0 il Kilmarnock di Krys Boyd, colpevole con un articolo su un tabloid del soprannome di “laptop manager” che la stampa ha poi assegnato a Cathro, prima e unica gara che ho visto nel Roseburn Stand a fianco degli ospiti) e avevano voglia di rivincita. Il risultato è stata una totale umiliazione dei Rangers.

La copertina del match programma della gara tra Hearts e Kilmarnock del 27.12.2016

La gara, chiusa 4-1, ha visto anche una delle migliori performance di Jamie Walker, talento davvero inespresso tornato nella capitale scozzese dopo una tutt’altro che soddisfacente avventura “south of the border” un paio di stagioni fa, cosi come Robbie Neilson che questa stagione guida i Jambos alla ricerca della promozione in Premiership.

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Il fascino del derby “segreto” di Edimburgo

Welcome to Ainslie Park

Lo so che probabilmente, visto il titolo, starete pensando, dopo due post “normali” adesso finalmente anche tu inizi a farci lo storyteller e ci butti dentro Begbie, qualche libro “casual”, due citazioni di un film e un po’ di birra in qualche pub non proprio malfamato ma nemmeno per tutti in qualche periferia della capitale.

Beh, niente di tutto questo, sorry (not sorry). Non sono uno storyteller (blog sbagliato), non credo che bere una birra in Leith Walk o Gorgie Road prima di un derby di Edimburgo sia più “cool” di bere una birra in un bar di Genova prima del derby (anzi! quanto mi mancano le pizzette appena sfornate del locale un paio di vie dietro la Nord e una bottiglia di Ceres prima della partita…) o altre amenità simili. Sono semplicemente cose diverse, esperienze diverse fatte in paesi diversi, con storie diverse e che ti coinvolgono in maniera diversa.

Il derby di cui voglio parlare oggi è “l’altro” derby della capitale, specificamente quello che andava in scena tra gli Spartans e l’Edinburgh City (prima che i Citizens riuscissero, nel 2016, a centrare la clamorosa promozione in League 2, ma di questo parleremo un’altra volta).

Ho visto due derby tra queste squadre che avevano sede in due punti opposti della città, gli Spartans ad Ainslie Park, situato a nord-ovest della capitale, mentre i Citizens erano di casa al Meadowbank Stadium, ad est e non troppo lontano da Easter Rd.

Il Meadowbank Stadium non c’è più, forse tornerà ma al momento le due squadre, in categorie diverse, dividono lo stesso campo (per appunto, Ainslie Park).

Il primo derby l’ho visto a Meadowbank nell’estate 2013, prima gara casalinga per l’Edinburgh City nella prima stagione (2013/14) dell’allora neonata Scottish Lowland Football League. Ero in Scozia da meno di un anno e qualche partita l’avevo già vista – ed ero già stato a Meadowbank, ma anche di questo derby (forse) parleremo altrove.

Il programma della partita

Oggi voglio parlare del mio secondo “other Edinburgh derby“, quello andato in scena ad Ainslie Park il 6 agosto 2014. Dopo quasi due anni quassù avevo visto i tre stadi principali della capitale ma mi mancava Ainslie Park e volevo anche vedere gli Spartans giocare in casa, una squadra per cui ho anche un po’ di simpatia – nerd alert, ho una formazione classica quindi non posso non simpatizzare per una squadra con questo nome.

Arrivare all’Ainslie Park non è difficile, quando sai come arrivarci. Ma se non ci sei mai stato e non conosci benissimo la città, può anche crearti qualche problema. Il modo più facile per raggiungere lo stadio dal centro città (che per comodità sarà sempre Princes St) è col bus numero 27 della Lothian Buses (quelli granata per capirci, con direzione Silverknowes), la fermata più comoda è forse quella di fronte alla National Gallery sulla discesa che dal Mound porta a Princes St, ma qualsiasi app vi aiuterà a trovare quella più vicina a voi al momento.

Un momento della gara – vinta dai Citizens (in giallo-nero). 1-2 il risultato finale

Contate male sono una ventina di fermate e la vostra è quella prima di una stazione di servizio (Morrison petrol station). Se vedete il distributore troppo tardi nessun problema, schiacciate il tasto “stop” del bus e scendete alla fermata dopo!

Entrate in Pilton Drive, passate sul ponte e girate a sinistra e vi troverete prima il Leisure Centre, poi più avanti il viale che vi porta al campo.

Non ricordo onestamente il prezzo del biglietto ma credo fosse attorno ai £10, mentre come si può vedere dalla foto più sopra il prezzo del programma era £2.

Vista del Main (e unico) Stand di Ainslie Park

Ainslie Park è un bel posto dove vedere calcio, anche se il campo in sintetico, la mancanza di una vera e propria terrace e il contesto relativamente “moderno” tolgono molto all’immaginario. Ci sono altri stadi che consiglio di vedere prima di andare ad Ainslie Park (dove giocano anche le Hibs Ladies) ma se siete in città e gli Spartans giocano in casa, loro meritano sempre una visita!

Gli Spartans non sono ancora riusciti a centrare la tanto ambita promozione in League 2 e al momento siedono a metà classifica di Lowland League, classifica dominata (come successo l’anno scorso) dai Kelty Hearts e da un altro club di Edimburgo, il Bonnyrigg Rose – cui faremo visita prossimamente, stay tuned.

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Cowdenbeath, il rombo del Central Park

“Welcome to Central Park”

Ci sono ancora molti stadi che vorrei visitare, che erano sulla lista per il 2020 ma che, per ovvie ragioni, non sono stati “ticked” nell’anno appena trascorso – e, per buona parte del 2021, so che resteranno tali.

Ma negli anni, approfittando delle pause del rugby, sono riuscito a togliermi parecchie soddisfazioni. Una di queste è stata vedere una partita di calcio al Central Park di Cowdenbeath, che i padroni di casa (i Blue Brazil) dividono con gli appassionati di motori.

Si, perché il Central Park ha la caratteristica di essere uno stadio E un autodromo.

Vista del Central Park di Cowdenbeath, quasi da bordo campo…

Come chairisce il sito ufficiale del club, “Football may be the primary function of the ground but Central Park is a duel purpose sports stadium which also hosts stock-car racing – the oval racing track encircles the pitch. It has hosted stock-car racing since 1965 and the racing community refer to Central Park as the ‘Cowdenbeath Racewall’. The Racewall hosts round 4 meetings per month – between March and November – and attracts large crowds. Central Park has also hosted greyhound racing and speedway in the past and currently host a weekly open-air market.

I loghi del Cowdenbeath FC e del Cowdenbeath Racewall sormontano l’ingresso principale del Main Stand

Insomma, una vera e propria “chicca” per appassionati, uno stadio che consiglio a tutti di visitare almeno una volta. Capisco che non sia proprio in cima alla bucket list di molti ma, fidatevi, ne vale la pena. La mia curiosità di vedere il Cowdenbeath in azione “tra le mura amiche” veniva anche dall’aver letto un libro, “Helicopter Dreams – The quest for the Holy Grail”, scritto da Ron Ferguson e che racconta la storia della stagione 2005/06 e dell’impresa compiuta dai Blue Brazil, capaci di vincere la Scottish Third Division al termine di un’annata fatta di veri e propri saliscendi e decisa dall’arrivo sulla panchina del club di Mixu, un finlandese capace di compiere l’impresa.

Il libro l’ho stupidamente dato via qualche tempo fa, storie di traslochi purtroppo ma se lo trovate da qualche parte, consiglio di leggerlo.

Non avevo scelto a caso la partita, oltretutto, perché quel giorno di settembre 2016 i Blue Brazil ospitavano i Berwick Rangers, unico club inglese (allora) iscritto nel calcio “di lega” scozzese. Lo scorso anno i Rangers, che hanno sede a Berwick-upon-Tweed (bel borgo marinaro appena oltre il confine e visibile dal treno, sulla linea che collega Edimburgo a Newcastle) sono però retrocessi in Lowland League (non league) e da allora non ci sono più club “stranieri” tra i 42 che giocano nel League football.

Non sono ancora riuscito ad andare a vedere i Berwick Rangers tra le mura amiche, ma è uno degli stadi decisamente in cima alla mia lista da visitare appena possibile.

Tornando al Central Park, da Edimburgo ci si arriva piuttosto comodamente in treno. Quel giorno, però, c’erano lavori in corso sulla linea ferroviaria quindi il treno si fermava ad Inverkeithing (appena dopo il Forth Bridge) e sono arrivato a destinazione con corriera sostitutiva. Il viaggio è ovviamente durato di più ma non avevo particolare fretta e ho avuto modo di attraversare paesi di cui onestamente avevo sentito parlare, ma mai avuto modo di visitare.

Dalla stazione allo stadio ci si arriva a piedi in cinque minuti, passando sotto un arco.

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Calcio e letteratura, ovvero il McDermid Stand di Stark’s Park (e il ritorno di Rudi)

Il McDermid Stand (away stand) di Stark’s Park, casa dei Raith Rovers

Di tutti i posti che ho girato con il fine di vedere una partita di calcio, Kirkcaldy è di sicuro uno di quelli che mi hanno colpito di più.

Premessa: da quando mi sono trasferito in Scozia nell’ottobre 2012, non ho mai guidato e di conseguenza mi sono sempre spostato coi mezzi pubblici. Ho perso, forse, qualche occasione di visitare paesini sperduti ma nel contempo posso bere una pinta prima o dopo la partita senza rischiare patente e fedina penale e ho avuto occasione di vedere scenari davvero interessanti.

Uno di questi è la tratta in treno da Edimburgo a, appunto, Kirkcaldy, col treno che dopo essere passato sul sempre scenografico e meraviglioso Forth Bridge corre lungo la costa di Fife, dandoti la possibilità di vedere la capitale da un inusuale punto di vista.

Kirkcaldy, in sé, é una cittadina tipica del “regno di Fife” e tolta la vista sul mare (e un castello che, purtroppo, non ho ancora avuto modo di visitare, cosi come l’arena del ghiaccio casa dei Fife Flyers di EIHL) l’interesse principale, per me, lo riveste la squadra locale, i Raith Rovers.

Allora, dico subito che nonostante i fatti recenti (marzo scorso, discussione animatissima su cosa fare della stagione dopo lo stop dovuto alla pandemia, Raith Rovers che si schierano con Dundee United per chiuderla e assegnare promozione/retrocessione con classifica congelata a quel punto della stagione) ho un debole per questo club per i seguenti motivi: Stark’s Park, Val McDermid (e Rudi Skacel, che come vedrete sarà spesso presente nei miei racconti).

Partiamo da Rudi, che aveva deciso di tornare in Scozia nell’estate 2016 e aveva scelto proprio i Rovers (grazie al fatto che, allora, il manager fosse un’altra leggenda degli Hearts, Gary Locke). Il terzo debutto di Skacel in Scozia era fissato per il 30 luglio 2016, nel match di Betfred Cup (League Cup) contro l’Alloa e, ovviamente, non potevo mancare.

Quindi treno da Haymarket Station fino a Kirkcaldy, poi a piedi dalla stazione allo Stark’s Park (una ventina di minuti circa, dipende da quanto veloce camminate). Nota di colore: prendetevi il lato destro del treno e, se possibile, il posto al finestrino. Oltre allo scenario offerto dal Firth of Forth, poco prima di arrivare a destinazione vedrete Stark’s Park apparire in tutto il suo splendore.

Rudi si riscalda assieme ai nuovi compagni

Prima volta per me nella casa dei Raith Rovers (non sarà l’ultima, quella stagione sono tornato altre due volte contro St Mirren e Dunfermline), occasione di tick un altro stadio dalla mia lista e di vedere, finalmente, il McDermid Stand (settore ospiti) che è dedicato in onore del padre di Val McDermid ma è sponsorizzato, al momento, proprio dal sito di Val McDermid.

Negli anni ho imparato ad apprezzare Val McDermid, prolifica scrittrice di gialli nativa proprio di Kirkcaldy, grandissima tifosa dei Raith Rovers tanto da diventarne uno degli sponsor – il suo sito ufficiale, valmcdermid.com è anche sponsor ufficiale della squadra. Val, come la chiamano i suoi fans, pubblica un libro all’anno, ha vissuto per qualche tempo in Italia e ha ambientato qualche libro nel Belpaese e questo è un altro motivo di vicinanza, oltre ad essere da sempre una sostenitrice dell’indipendenza della Scozia.

In Scozia non c’è nessun altro club sponsorizzato da una scrittrice (figuriamoci uno stand) e questo di per sé rende Stark’s Park un posto particolare, non bastasse la geometria del Main Stand che, dovendo seguire il corso della strada che lo costeggia, forma un cuneo con lo stand di casa – da vedere!

Il Main Stand di Stark’s Park, casa dei Raith Rovers

Cosi come, se si ha tempo, val la pena visitare il museo (Kirkcaldy Galleries) che si trova davvero a due passi dalla stazione. Oltre a conoscere la storia di Kirkcaldy, c’è una sezione dedicata al club locale, alla clamorosa vittoria in League Cup del 1994 (ai rigori contro il Celtic) e al racconto delle persone che per festeggiare il trionfo, secondo un commentatore (scozzese, oltretutto) della BBC, “they’ll be dancing in the streets of Raith tonight!

Altro aneddoto, ho avuto modo di parlare con Val McDermid durante la sessione di firma dopo la presentazione del suo libro nell’estate 2016 all’Edinburgh Book Festival (evento che va in scena in agosto e che consiglio a tutti di vivere, almeno una volta). Non ho resistito, ovviamente, a chiederle cosa pensasse della firma di Rudi e abbiamo parlato per un paio di minuti di calcio.

Quando mi chiedono perché mi piace il calcio, nonostante tutte le derive del calcio moderno, beh qui ci sono tante buone ragioni.

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Dov’eravamo rimasti (ovvero, si ricomincia!)

Vista di Hampden Park durante Scozia-Jamaica, amichevole giocatasi nel maggio 2019 in vista della Coppa del Mondo Femminile

Rieccomi qui, dopo quasi otto anni, a scrivere su questo blog che era nato con l’idea di dare una prospettiva “dall’interno”del calcio scozzese, ma in italiano e sempre partendo dal mio punto di vista, senza alcun intento “giornalistico”.

Non ricordo bene né come né perché il blog è stato abbandonato, ma molto probabilmente l’attenzione dedicata ad AlbaOvale (il mio blog professionale sul rugby scozzese) ha decisamente cannibalizzato la mia concentrazione, col calcio che da passione della vita era diventata una piacevolissima valvola di sfogo nei momenti liberi da rugby e lavoro.

La chiacchierata fatta ieri sera con Enrico de Il Calcio Scozzese (che colgo occasione di ringraziare ancora) mi ha fatto tornare alla mente tanti bei ricordi, tante piacevoli giornate passate su un treno o su un bus andando verso uno stadio, oppure passeggiando a piedi per Gorgie Road verso il Tynecastle.

Tante cose son cambiate, e non solo nell’ultimo anno (di cui, almeno qui, non voglio assolutamente parlare). Son cambiato tanto anch’io, le esperienze fatte (o mancate) ti lasciano sempre il segno.

Cosa aspettarci da questo blog?

Come detto, nessuna ambizione giornalistica, almeno qui. Quindi non ci saranno aggiornamenti in tempo reale su risultati e classifiche, o se ci saranno, saranno funzionali all’argomento trattato di volta in volta.

Non ci sarà un “canovaccio”, andrò molto a braccio e seguendo l’istinto del giorno. Sarà una specie di diario segreto ma aperto a chi vorrà leggerlo (mi piacciono le contraddizioni, spesso).

Se non viene specificato, tutte le foto pubblicate sono mie.

Autore (al momento, ma difficile che cambierà) sono solo io, quindi ovviamente le idee sono le mie.

Buon viaggio!