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Genoa Women al “Gambino” di Arenzano, quasi come essere ad Arbroath

Il Genoa Women a fine partita sotto la tribuna a ringraziare i tifosi

Nel febbraio scorso ho realizzato un paio di “sogni” che avevo nel mio personale cassetto calcistico. Uno era quello di vedere una partita dell’Inter (Women) all’Arena Civica di Milano, l’altro ero quello di vedere almeno una gara del Genoa Women.

La gara scelta per l’occasione era quella tra le padrone di casa e l’Hellas Verona Women, entrambe le squadre navigavano nella metà alta della classifica della Serie B Femminile e quella era la gara che, durante il mio ultimo viaggio in Italia, le Grifone giocavano tra le mura amiche del “Gambino” di Arenzano.

Un momento della sfida e, sullo sfondo, il mare

Ora, sinceramente io preferirei veder giocare sempre il Genoa (qualunque squadra) a Genova, ma considerando che Arenzano ha un rapporto particolare coi colori rossoblu e che lo Stadio Gambino è uno dei più vicini al mare che io conosca, per questa volta ho fatto un’eccezione e mi sono messo in viaggio verso la cittadina del Ponente nella tarda mattinata di domenica 18 febbraio.

Il kick off era in programma per le 14:30 ma, considerando il clima clamorosamente (e, direi, pericolosamente) mite per metà febbraio, oltre alla location dello stadio (che sorge proprio sulla passeggiata che unisce Arenzano a Cogoleto), siamo arrivati con un po’ di anticipo per riuscire a parcheggiare l’auto nelle vicinanze e goderci anche il pre-partita.

Tra Genoa e Verona c’è da sempre una grandissima rivalità che, però, non è stata esportata al calcio femminile. Il match si gioca di fronte ad un buon pubblico, con molti tifosi che si fanno anche sentire con cori per tutta la partita, e come detto in condizioni climatiche davvero inusuali, anche a queste latitudini.

Avevo voglia, come detto, di vedere dal vivo una gara del Genoa Women ma non ero pronto per lo spettacolo che la location dello stadio offriva, nonostante veda costantemente gli highlights delle partite. Il “Gambino” sorge a pochissimi metri dalla scogliera e mi dà subito delle sensazioni che ricordano quelle del Gayfield Park di Abroath, lo stadio (fino a quel giorno) più vicino al mare in cui avevo visto una partita di calcio (due, ad esser pignoli, ed entrambe due amichevoli tra l’Arbroath e gli Hearts).

Bargi festeggia il goal

La gara è molto bella e combattuta, con le squadre che chiudono sull’1-1 (il Genoa passa in vantaggio nel primo tempo grazie ad un rigore di Bargi, l’Hellas Verona pareggia in avvio di ripresa) e diciamo che il risultato, per come è andata la partita, è giusto.

La partita chiude il mio personale trittico italiano, apertosi mercoledì 14 febbraio all’Arena Civica di Milano per la sfida tra Inter Women e Juventus Women e proseguito, sempre a Milano (ma stavolta a San Siro) venerdì 16 con il match di Serie A maschile tra Inter e Salernitana. Una settimana molto intensa, sia dal punto di vista fisico (con diversi viaggi in treno) sia emotivo, ma che difficilmente dimenticherò e che la sfida di Arenzano ha reso ancora più speciale, se possibile.

Tutto il Genoa viene sotto la tribuna a ringraziare il pubblico presente per il sostegno, poi con calma ci incamminiamo verso la macchina e verso casa. Il traffico, dovendo attraversare Genova per tornare a Levante, è piuttosto intenso (la giornata, come detto, era perfetta sia per una partita, sia per una passeggiata sul mare e addirittura per un gelato, ma va anche considerato che quello era anche l’ultimo weekend di carnevale) ma niente riesce a rovinarmi l’esperienza e il ricordo di una giornata vissuta quasi “comme à Arbroath“.

Il sole a picco, lo scorcio del golfo alle spalle della porta e, un po’ al buio, il Genoa Women difende un calcio d’angolo nel primo tempo
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L’Europeo che ha cambiato la mia percezione del football per sempre

Il trofeo di Euro2022 fatto coi mattoncini LEGO esposto nel fan village di Old Trafford

Ieri mancavano 100 giorni esatti al calcio d’inizio del primo match (tra Germania e Scozia) dell’Europeo maschile e, inevitabilmente, tutta l’attesa per l’evento (che io mi godrò in tv dal mio divano) mi ha fatto ricordare le emozioni vissute in prima persona un anno e mezzo fa, quando nell’estate del 2022 mi apprestavo a vivere il mio primo Europeo (femminile) di sempre, un torneo che avrebbe cambiato la mia percezione del football facendomi innamorare di nuovo, perdutamente, di questo sport.

Un momento di Inghilterra v Austria ad Old Trafford

Quel torneo, infatti, mi ha portato in giro, in solitaria, per l’Inghilterra, fatto scoprire posti nuovi e definitivamente rotto gli indugi sul mio amore per the beautiful game. Anzitutto, il torneo mi ha fatto conoscere Manchester, una città che fino al luglio 2022 conoscevo solo grazie agli Oasis e poco altro e che, immediatamente, è diventata uno dei miei “luoghi dell’anima”.

Come il centro di Manchester mi ha accolto

Sono arrivato a Manchester in treno, da Edinburgh Waverley, per la gara d’esordio di Euro2022, tra l’Inghilterra padrona di casa e l’Austria. Quella sarebbe stata l’unica gara disputatasi ad Old Trafford, con l’Academy Stadium (casa del Manchester City Women) come altra sede delle gare in città. Non potevo, quindi, perdere l’occasione di vedermi la gara di esordio di un torneo internazionale a poco più di tre ore di treno di distanza.

Mi sono organizzato con trasferimenti e alloggio quasi con un anno di anticipo e non potevo prevedere, a quel tempo, che le condizioni meteo sull’isola sarebbero state quasi “estreme”, per colpa di un’ondata di calore clamorosa che mi avrebbe complicato, non poco, i piani.

Welcome to Manchester

Partiamo con ordine, però. Il primo capitolo del mio Euro2022 inizia, come detto, da Manchester – precisamente da Old Trafford – il 6 luglio, con la sfida inaugurale. Le Lionesses soffrono molto la pressione e non riescono a dare il meglio di se stesse, ma va dato anche merito all’Austria di riuscire a mettere in difficoltà le padrone di casa. Finisce comunque 1-0, grazie al goal di Beth Mead nel primo tempo.

Il giorno dopo torno a casa, e onestamente sarei già stato contento cosi, perché Manchester mi è entrata subito nel cuore, Old Trafford esaurito in ogni ordine di posti è stata un’esperienza incredibile e avrei avuto bisogno di tempo per rendermi conto esattamente di quanto era successo.

Le Oranje Leeuwinnen salutano i propri fans a fine gara

Il 17 luglio, invece, ero di nuovo in viaggio, di nuovo su un treno e stavolta diretto a Sheffield. Sosta forzata a Doncaster, per il cambio di treno, e poi via verso Bramhall Lane per la sfida tra Svizzera ed Olanda. Avevo già visto entrambe le nazionali in azione, anni addietro, contro la Scozia ma non ero mai riuscito a godermi lo spettacolo dei tifosi Oranje in azione, con la loro danza “links-recht” che resterà per sempre come uno degli highlight della mia esperienza.

Un momento di Svizzera v Paesi Bassi a Sheffield

Lo stadio in sé è stato una piacevolissima sorpresa, oltretutto, mentre la gara ha visto le olandesi dominare soprattutto nel secondo tempo e si è chiusa sul 4-1 per le leonesse arancioni, che sono però riuscite a fiaccare la resistenza svizzera solo con tre goal nei minuti finali. Quel giorno, Vivianne Miedema, una delle mie giocatrici preferite, non aveva potuto giocare perché era risultata, nella settimana precedente il match, positiva al covid-19 (si, c’erano ancora i controlli all’epoca anche se, adesso che scrivo, mi sembra di parlare di un secolo fa) e la scena se l’era presa Leuchter, autrice di una doppietta dopo essere entrata in campo nell’ultimo quarto di gara al posto di Beerensteyn.

Italia v Belgio all’Academy Stadium di Manchester

Il giorno dopo sono tornato a Manchester, stavolta ad est della città e per la mia prima gara di sempre della Nazionale Italiana femminile. Le Azzurre si giocavano le ultime speranze di qualificazione nello scontro diretto col Belgio, uscendo però sconfitte (1-0) e di conseguenza eliminate dal torneo già nella fase a gironi. L’Europeo delle Azzurre, però, era già stato compromesso all’esordio con la pesante sconfitta (5-1) subita contro la Francia a Rotherham.

Il giorno seguente, 19 luglio, era libero da gare e vedeva il mio tentativo di spostarmi da Manchester a Brighton. Con temperature vicine ai 40C, che avevano creato disagi importanti e cancellazioni di treni, ho avuto la fortuna di vedere il mio treno da Manchester a Londra (dove avrei poi cambiato, spostandomi da Euston Station a London Bridge) confermato. Ovviamente, a causa di tutte le altre cancellazioni, il treno era davvero pieno ed è anche stato costretto a ridurre la velocità in alcuni tratti, soggetti a problemi alle rotaie causate dall’ondata di calore anomala.

Brighton

Insomma, in qualche modo sono riuscito ad arrivare a Brighton, il punto estremo del mio viaggio attraverso l’Inghilterra, e mi ero premiato (nonostante il forte caldo che si percepiva anche lì, e soprattutto il caldo terrificante che mi aspettava al ritorno in camera) con una passeggiata sul molo (il mitico Brighton Pier), un giro per i luoghi divenuti famosi anche grazie a Quadrophenia e un fish&chips con vista mare.

In spiaggia a Brighton, in attesa delle gara

Il giorno dopo iniziavano i quarti di finale e, all’Amex Stadium, l’Inghilterra sfidava la Spagna. Lo stadio, casa del Brighton&Hove Albion, è davvero bellissimo e l’atmosfera quella sera era elettrica. La Spagna sarebbe passata in vantaggio per prima, con un bel goal di Esther González, mai goal di Toone (a pochi minuti dalla fine dei tempi regolamentari) e Georgia Stanway, nel primo tempo supplementare, avrebbero garantito alle Lionesses la vittoria e il passaggio in semifinale, dove avrebbero affrontato la Svezia a Sheffield.

L’Amex Stadium

Il giorno seguente ho lasciato Brighton, dove ho anche lasciato un pezzetto di cuore (città davvero stupenda a mio parere, dove spero di tornare il prima possibile) perché il mio Europeo proseguiva, in condizioni climatiche non più “estreme”, a Londra per il secondo quarto di finale tra Germania e Austria.

La gara era in programma nel nuovo stadio del Brentford, un piccolo gioiello incastonato tra nuovi edifici a due passi dalla stazione dei treni di Kew Bridge – dove sarei arrivato e ripartito verso il mio hotel.

Il Brentford Community Stadium a poco meno di due ore dal kickoff

La mia quinta e penultima gara di Euro2022 si chiuse col successo della Germania (2-0) grazie ai goal di Lina Magull e Alexandra Popp, che assieme e Svenja Huth formano il trio delle mie giocatrici tedesche preferite. L’Austria, come contro l’Inghilterra ad Old Trafford, aveva disputato un’ottima partita dimostrando che la qualificazione ai quarti (ai danni delle Norvegia) non era stata frutto del caso, ma le tedesche quella sera erano davvero superiori in tutti i reparti.

Il viaggio di ritorno, in treno da London King’s Cross (non prima della tappa all’Emirates Stadium per farmi mettere nome/numero di Jen Beattie sulla maglia dell’Arsenal Women che avevo acquistato un anno prima) verso Waverley è stato, for a change, tranquillo.

Un po’ di Scozia non guasta mai!

Non riuscendo ad organizzarmi col lavoro per vedere almeno una delle due semifinali, la mia attenzione era ormai proiettata alla finalissima di Wembley, in programma il 31 luglio. Una doppietta di Popp aveva consentito alla Germania di superare, non senza fatica, la Francia a Milton Keynes e ci aveva regalato una finale clamorosa, perché le padrone di casa dell’Inghilterra, la sera prima a Sheffield, avevano battuto senza appello (4-0) la Svezia.

Il programma ufficiale del torneo

Sabato 30 luglio arrivo a Londra in aereo, perché se ricordo bene uno sciopero dei treni aveva messo a rischio i viaggi in quel weekend – non c’era solo il meteo a rendere problematici i miei spostamenti! – e, potendo fare il check-in anticipato, riesco anche ad organizzarmi per andare a vedere, finalmente, una gara del Leyton Orient in casa (prima giornata della stagione 2022/23 di League Two, con gli O’s che ospitavano il Grimsby Town neopromosso dal Vanarama). Ho un legame particolare con il Leyton Orient, squadra che spesso sceglievo a FIFA (quando ancora giocavo con la PS2) e che quindi avevo sempre sognato, almeno una volta, di vedere giocare dal vivo.

Brisbane Road, la casa del Leyton Orient nel pre-partita

Il giorno dopo aver realizzato un piccolo sogno, ne avrei realizzato un altro ancora più grande: la finale di un torneo internazionale al Wembley Stadium.

Ci ero già stato una volta, a Wembley, a vedere una partita di rugby tra i Saracens e i Northampton Saints, ma quell’esperienza non mi aveva preparato alle emozioni vissute quel 31 luglio 2022.

L’Olympic Way vista dall’uscita della fermata della Tube, Wembley Park

Anzitutto, Wembley era sold-out e questo dato, per una gara di calcio “femminile”, era davvero qualcosa di storico (sarebbero seguiti altri sellout e altri record infranti, ma quel giorno davvero si è scritta una pagina di storia del calcio). L’Inghilterra aveva occasione di vincere l’Europeo (maschile o femminile) per la prima volta nella sua storia e quindi “it’s coming home”, ahimè, mi usciva dalle orecchie da tante volte l’ho sentita in quei giorni! Mentre la Germania aveva la possibilità di mettersi, per la nona volta (!) in bacheca il trofeo.

Era difficile dire chi fossero le favorite, alla vigilia, ma l’infortunio di Popp durante il riscaldamento ha davvero inferto un colpo duro alle speranze di titolo delle tedesche. Le Lionesses arrivavano alla finale, nonostante il vantaggio di giocare in casa e i risultati ottenuti sulla strada verso Wembley, con qualche punto di domanda sulla loro abitudine a gare cosi importanti e con il precedente dell’esordio del torneo, ad Old Trafford, dove la pressione aveva giocato loro qualche scherzo.

Il Wembley Stadium col tabellone luminoso ad indicare il record di spettatori

Il pre-partita è davvero bello, mi regalo la camminata dalla stazione della metropolitana verso lo stadio, intravedendo la struttura e l’arco fin dai primi gradini, prendo il programma e mi avvio verso il mio posto, nell’ultimo anello dello stadio ma con un’ottima visuale sul campo.

Il match è intenso. Il pubblico spinge le Lionesses che passano per prime in vantaggio con Toone, prima che Magull pareggi per la Germania.

Il match resta in bilico fino al minuto 110, quando Chloe Kelly, in mischia, riesce a spedire la palla in rete prima di correre verso la panchina e togliersi la maglia per festeggiare il goal diventando, immediatamente, un’icona del calcio mondiale grazie alla sua celebrazione.

Il match programme della finale

Finisce 2-1 e l’Inghilterra riesce a vincere il suo primo Europeo, per la gioia della maggior parte dei presenti a Wembley. Il giorno dopo, a Trafalgar Square, la squadra avrebbe festeggiato con un’altra cerimonia il trionfo nel cuore di Londra, ma mentre Leah Williamson e compagne salivano sul palco, io tornavo in Scozia.

Certo, il rammarico più grande della mia avventura è stato quello di non poter vedere la Scozia in azione ma, allo stesso tempo, le emozioni provate mi hanno convinto che devo fare di tutto per mettermi nelle condizioni di vivere, di nuovo, un Torneo cosi in prima persona, il prima possibile.

Fuori dal Sir Alex Ferguson Stand, prima dell’esordio del Torneo
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Il derby scozzese nella Serie A Femminile Italiana, finalmente!

AC Milan Women e Sassuolo Femminile schierate al centro del campo prima del calcio d’inizio

Sabato 11 novembre sono riuscito finalmente a mettere una immensa tacca nella mia lista di partite da vedere, almeno una volta. Durante il mio ultimo viaggio in Italia sono riuscito a vedere tre partite, Genoa-Hellas Verona (tornando al Ferraris dopo più di un anno e mezzo di assenza), Inter-Frosinone (la gara che ha chiuso la mia “vacanza”) e, appunto, il derby scozzese della Serie A Femminile, quello tra il Sassuolo di Lana Clelland e il Milan di Christy Grimshaw.

Non è stato proprio facilissimo organizzarmi, perché la gara era prevista per le 15 italiane al Centro Vismara di Milano, in via dei Missaglia, e io ero di base a Genova. Coi mezzi pubblici, come di solito mi muovo non avendo guidato un’auto da oltre dieci anni ormai, era piuttosto complicato organizzare la trasferta ma l’aiuto di mio papà mi ha decisamente facilitato il compito.

L’ingresso in campo delle squadre

Arrivare in via dei Missaglia, nella periferia sud di Milano, non è stato affatto difficile ma trovare l’ingresso giusto, per arrivare al cancello che dà accesso alla struttura che ospita le gare casalinghe del Milan Women, è stato un po’ più complicato del previsto.

Biglietti (nominali) acquistati online il giorno prima, arriviamo al Centro Vismara con più di un’ora di anticipo sul calcio d’inizio, fattore che ci permette non solo di parcheggiare l’auto con calma, ma anche di goderci un panino nel pre-partita. Il Centro Vismara occupa un’area davvero vasta, e lo stadio che ospita le gare del Milan Women è un piccolo gioiellino, che garantisce oltretutto un’ottima visuale del campo nonostante l’unica tribuna sia un po’ troppo lontana dal terreno di gioco.

Come dicevo, quella di sabato era non solo la mia seconda gara di Serie A Femminile (dopo il Parma-Roma dello scorso gennaio, a Noceto) ma anche e, forse, soprattutto, l’occasione di vedere all’opera Lana Clelland e Christy Grimshaw con le maglie dei loro club, una di fronte all’altra, in Italia.

Un momento del primo tempo del match

La fortuna è stata dalla mia parte perché il meteo ha garantito un pomeriggio di sole con 18C gradi (anomalo, considerando il calendario, segno che la crisi climatica sta davvero avendo un impatto nella nostra vita quotidiana) e i due allenatori, Ganz e Piovani, hanno deciso di schierare le due nazionali scozzesi nei rispettivi undici di partenza.

Ero anche curioso di vedere entrambe le squadre, per motivi diversi; il Milan, per il nome che porta, si trova in una posizione di classifica ben lontana dalle aspettative e la pressione sull’allenatore era piuttosto importante – non lo sapevo, ma quella di sabato 11 novembre sarebbe stata l’ultima gara di Maurizio Ganz come allenatore del Milan. Dopo l’espulsione, per proteste, rimediata a fine primo tempo, l’allenatore non era in panchina nel match pareggiato in casa contro la Sampdoria (1-1) che gli sarebbe poi costato l’esonero.

Il Sassuolo, invece, lo sto seguendo da un po’ di tempo da lontano, guardando gli highlights su Youtube e cercando di informarmi sulla squadra, anche e soprattutto perché Lana è da sempre una delle mie giocatrici preferite. La rosa delle emiliane è davvero interessante e mi ha stupito che lo scorso anno si siano salvate con qualche problema, mentre in questa stagione abbiano, per un motivo o un altro, raccolto molti meno punti di quanti ne meritassero.

Fase di gioco del secondo tempo, quando il sole stava ormai tramontando

La sfida è rimasta equilibrata per tutti i novanta minuti, coi due goal che hanno deciso il risultato (1-1) arrivati nei primissimi minuti della prima frazione. Il Milan, con giocatrici del calibro di Kosovare Asslani, Bergamaschi, Stašková e Dompig mi ha davvero deluso mentre il Sassuolo, che oltre a Lana vanta elementi come Zamanian e la mia personale player of the match, Missipo, ha saputo interpretare molto meglio la gara e torna in Emilia con un prezioso punto per la sua classifica.

Uscendo dal campo a fine gara, mi resta la soddisfazione di aver visto due nazionali scozzesi giocare nella Serie A Femminile italiana, seguendo le orme di Rose Reilly, mitica giocatrice scozzese che ha anche vestito la maglia della nazionale italiana – oltre a quella di Trani, Napoli e Milan. Il mio legame con la Scozia ha reso questa partita davvero speciale e sono contento ed onorato di poter dire che, almeno una volta, sono stato presente a questo “derby scozzese in Italia”.

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“Pioneers and trailblazers”, ma solo dopo oltre quarant’anni

Il poster dello spettacolo in scena al Traverse Theatre

Mercoledì 29 settembre è stata una giornata che ho personalmente dedicato al calcio femminile scozzese. Il caso ha voluto che, nello stesso giorno, ci fosse infatti il Women’s Edinburgh Derby ad Easter Rd (di cui ho già parlato) e la messa in scena dello spettacolo teatrale dedicato ad una delle più grandi giocatrici scozzese della storia recente, Rose Reilly.

Lo spettacolo, chiamato semplicemente “Rose”, è in scena al Traverse Theatre di Edimburgo fino a domani, 2 ottobre, ma i biglietti sono andati esauriti davvero in pochissimo tempo. Lo spettacolo rientra nell’offerta di “A play, a pie and a pint“, splendida iniziativa che consente, col prezzo di ingresso, di vedersi uno spettacolo (di solito in programma all’ora di pranzo) e prima, o dopo, mangiare una pie e bersi una pinta di birra – o un bicchiere di vino, se l’aria del teatro vi ispira di più.

“Rose” è un one-woman show scritto da Lorna Martin che racconta la storia di Rose Reilly attraverso la voce della protagonista, dai suoi primi anni in Ayrshire all’amore per il calcio e a tutte le avventure e i problemi affrontati a causa del suo folle amore per la palla tonda.

Rose, una delle migliori calciatrici della sua epoca (ma non solo), ha avuto la “sfortuna” di innamorarsi di uno sport, il calcio, che fino al 1971 (sarebbe stato il 1974 in Scozia) per le donne era proibito vedere come una carriera. Non solo, a causa del ban datato 1921, con cui le federazioni calcistiche avevano deciso di proibire alle donne di giocare a calcio impedendo ai club “maschili” di dare accesso a squadre femminili ai propri impianti, organizzare anche un’amichevole era davvero un’impresa.

I tempi son cambiati, per fortuna, la strada da fare è ancora molto lunga ma la consegna dei caps alle atlete che hanno preso parte alla prima gara internazionale tra Scozia e Inghilterra giocatasi a Greenock nel 1972 su un terreno di gioco ghiacciato, con le giocatrici scozzesi che furono costrette a comprarsi loro le maglie blu, cui hanno cucito numeri e logo e che sono arrivate al campo di gioco a bordo di un camion che trasportava letti e divani dopo che non erano riuscite ad organizzare il noleggio di un autobus.

Il palcoscenico pronto prima dell’inizio dello spettacolo

La storia della carriera di Rose Reilly si mischia, inevitabilmente, con quella della sua vita privata e sempre tenendo presente un background “patriarcale” che vede la SFA nei panni del villain.

Rose, per giocare a calcio a livello professionistico, è stata costretta ad emigrare prima in Francia, poi in Italia dove ha davvero trovato modo di esprimersi al massimo, vestendo anche la maglia della Nazionale Italiana e vincendo il Mundialito nel 1984 – va ricordato che la prima Coppa del Mondo femminile organizzata dalla FIFA è datata 1991.

Il biglietto dello spettacolo

Rose ha ricevuto “giustizia” (dopo esser stata bannata dalla SFA, con altre due colleghe, nel 1974) solo nel 2019 quando la First Minister Nicola Sturgeon, nel pre-partita dell’amichevole tra Scozia e Giamaica giocatasi ad Hampden Park (ultimo match della Scozia prima della partenza per la prima presenza ad una Coppa del Mondo) ha consegnato a lei e ad altre sue compagne di squadra il cap per la gara contro l’Inghilterra giocatasi a Greenock.

Pioneers and trailblazers” vengono chiamate, adesso, Rose e le sue compagne. Credo che queste definizioni facciano loro piacere ma fino ad un certo punto, perché sono convinto che Rose e le sue compagne, cosi come tutte le donne che amano il calcio nonostante questo meraviglioso sport non abbia sempre ricambiato questa passione, volessero soltanto essere libere di giocare.

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Il calcio femminile scozzese va a teatro (e i risultati sono straordinari)

Il palco dello spettacolo montato nel Main Stand del Tynecastle Park

Il calcio femminile scozzese negli ultimi anni è cresciuto esponenzialmente, grazie al grande lavoro dietro le quinte e ai risultati ottenuti dalla Nazionale che, nel 2017 (europei) e 2019 (coppa del mondo, un traguardo che il calcio scozzese non raggiungeva da vent’anni) riuscì a qualificarsi per la fase finale di un major tournament – qualcosa che la Nazionale maschile è riuscita a fare solo per Euro2020, dopo più di vent’anni di attesa.

Il calcio domestico femminile stenta ancora un po’ a decollare, anche perché non è per nulla facile farsi spazio in un Paese, la Scozia, dove anche club domestici maschili soffrono da sempre l’ingombrante dominio dell’Old Firm. South of the border il calcio femminile, con la FA SWL, ha raggiunto forse lo step successivo (anche grazie alle prestazioni delle Lionesses, la nazionale femminile inglese, che non ha vinto trofei – al pari della maschile – ma si è ormai consolidata nel numero delle migliori squadre al mondo) ma pur sempre la strada da fare verso una vera e propria uguaglianza è ancora molto lunga – basti pensare che nessuna delle squadre femminili di FA SWL, pur essendo di fatto la squadra femminile di club di Premier League (avendo lo stesso nome, vestendo le stesse maglie con lo stesso logo) salvo rarissime occasioni e solo negli ultimi anni gioca nella “casa” del club e si trova, solitamente, a dover giocare partite in stadi piccoli.

Il poster dello spettacolo

Dopo un anno di pausa forzata dalla pandemia, nel 2021 sono tornate tante manifestazioni e tra loro, anche se con qualche limitazione, è tornato anche l’Edinburgh Fringe. In questa edizione la compagnia teatrale “This is my story Productions” (che non nasconde, già nel nome, un richiamo agli Hearts) dopo aver portato sul palco montato all’interno del Tynecastle Park la storia del McCrae’s Battalion nelle edizioni 2018 (cui sono stato) e 2019, ha deciso di mettere in scena uno spettacolo incentrato sull’ascesa e caduta (‘colpevoli’ compresi) del calcio femminile in Scozia durante la prima guerra mondiale.

Nel 2018 la compagnia aveva prodotto “A war of two halves” che, come detto, ripercorreva le orme dei giocatori degli Hearts che, allo scoppio della prima guerra mondiale, lasciarono i campi da calcio (ad un passo dal vincere il titolo di campioni di Scozia) per andare a combattere in Francia col McCrae’s Battalion. Lo spettacolo era ambientato al Tynecastle Park ed era uno spettacolo “itinerante”, nel senso che non c’era un palco fisso ma gli spettatori seguivano fisicamente gli attori attraverso le diverse fasi dello spettacolo in diverse aree dello stadio, partendo dal Main Stand, passando per gli spogliatoi (allora collocati ancora nel Wheatfield Stand dal momento che il Main Stand era stato si aperto, ma non completato) e arrivando addirittura ad una trincea ricostruita dietro il Roseburn Stand.

La placca posta all’ingresso della Usher Hall di Edimburgo che ricorda il McCrae’s Battalion

Quest’anno, invece, il focus è sulla squadra di calcio femminile formatasi all’interno della fabbrica della North British Rubber, un’azienda situata nel quartiere di Fountainbridge della capitale scozzese che durante la guerra produceva stivali per i militari impegnati nelle trincee europee. Lo spettacolo, che dura in tutto due ore e mezza (compresi 15’/20′ minuti di intervallo) si svolge su un palcoscenico costruito all’interno del Main Stand (con gli spettatori tutti seduti nel settore S dello stadio) e ripercorre la storia di queste donne, della loro esperienza in fabbrica come lavoratrici a sostegno dello sforzo bellico, del loro amore per il calcio.

Nel 1916 il calcio femminile era sempre più popolare in Scozia e Inghilterra e continuava a crescere, finché la SFA (che aveva cercato in tutti i modi di ostacolarne la crescita) non decise (nel 1921) di impedire alle donne di giocare a calcio, adducendo motivazioni “scientifiche” e chiedendo ai club loro associati (maschili, ça va sans dire) di non dare più autorizzazione a squadre femminili di giocare nei loro stadi.

Questo divieto resterà di fatto in vigore fino al 1971, e in Scozia si protrarrà per altri tre lunghi anni. La storia del calcio femminile in Scozia si mischia con quella personale delle lavoratrici, col movimento delle Suffragettes che chiedevano diritto di voto per le donne (ed uguaglianza, con le lavoratrici che pur facendo lo stesso lavoro dei lavoratori venivano pagate molto meno) passando per lo scoppio della pandemia di influenza (che collega, tristemente, le due epoche, quella raccontata nel play e quella che stiamo vivendo) e raccontando, con amara ironia, le macchinazioni della Federazione per impedire al calcio femminile di continuare a crescere.

Il palco poco prima dell’inizio del secondo tempo

Nove attrici sul palco, che recitano, cantano, suonano e offrono una rappresentazione di un’epoca gloriosa e drammatica, per le vite dei loro personaggi e per il calcio femminile in Scozia. Uno spettacolo che non ha paura di affrontare tematiche ancora piuttosto difficili, come l’esperienza delle donne e degli uomini durante la guerra, il rientro a casa dei militari, la difficile reintegrazione, le complicate relazioni amorose.

Uno spettacolo, Sweet F.A., davvero intenso, che strappa risate al pubblico ma che fa anche commuovere, con le nove attrici bravissime nel coinvolgere gli spettatori presenti sugli spalti per tutta la durata del play.

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Calcio popolare nel regno di Fife

L’East Stand dell’East End Park gremito dai tifosi degli Hearts

Anche oggi parliamo della stagione 2013/14 degli Hearts, e stavolta il motivo è la gara amichevole giocata all’East End Park di Dunfermline contro la squadra locale, il DAFC, nel luglio 2013.

L’East End Park è un bello stadio che sorge nella parte est di Dunfermline. Dietro il North Stand, che corre parallelo al Main Stand, si trova il grande cimitero della cittadina che si può vedere proprio dal Main Stand. Lo stadio è stato aperto nel 1885 (anno di fondazione del DAFC) ma è diventato uno stadio con tutti posti a sedere solo negli anni novanta, con una capienza nominale di 11,480 spettatori.

Il North Stand dell’East End Park

Quel giorno erano presenti 4,538 spettatori e la stragrande maggioranza erano tifosi degli Hearts. L’ingresso della gara era stato fissato in £10 e la gara amichevole era la prima edizione della Fans’ Cup 2013 (la seconda e finora ultima si giocò nel 2015 tra Albion Rovers e Hearts), un torneo organizzato da Supporters Direct Scotland con l’intento di celebrare il coinvolgimento dei tifosi nella gestione dei club.

Quella stagione, che come ormai saprete si aprí con gli Hearts in amministrazione, penalizzati con -15 punti in classifica e di fatto già retrocessi ancora prima che la palla iniziasse a rotolare, si era aperta il 9 luglio con una sconfitta (5-1) contro la Dinamo Bucarest al Leigh Sport Village, centro sportivo situato nella Greater Manchester e che il prossimo anno ospiterà gare dell’Europeo femminile di calcio.

Ingresso in campo delle squadre

La seconda gara amichevole della pre-season era invece in programma quattro giorni più tardi, sabato 13 luglio, contro il Dunfermline Athletic FC la cui situazione finanziaria era, in quel periodo, non molto diversa da quella dei Jambos.

Una settimana prima della gara, il 5 luglio, Pars United (organizzazione di tifosi formatasi con l’intento di salvare il club dalla liquidazione, obiettivo centrato poi nell’ottobre di quell’anno) era stato designato come la scelta preferita dall’amministratore (KPMG) cui affidare le sorti del club.

Il muro dei tifosi dietro il Norrie McCathie Stand, lo stand dei tifosi del DAFC

Il tentativo di Pars United di salvare il club andò a buon fine ma l’essere entrati in amministrazione nel marzo 2013, a stagione in corso, costò ai Pars 15 punti di penalizzazione da scontare nella stagione 2012/13 che si chiuse con la retrocessione nell’allora Scottish Division Two dopo i playoffs (quella che, nella stagione 2013/14, sarebbe stata conosciuta come League 1).

Per gli Hearts, invece, era la Foundation of Hearts la protagonista del tentativo di salvataggio del club. Anche quel tentativo andò a buon fine e dopo otto anni, il 30 agosto, Ann Budge (attuale proprietaria dei Jambos) passerà alla Foundation of Hearts la maggioranza delle quote del club, rendendo gli Heart of Midlothian FC il più grande “fan owned based club in Britain”.

Una fase di gioco del match vinto dagli Hearts (1-2 risultato finale)

Tornando indietro nel tempo, in quel luglio 2013 la situazione per i Jambos, come detto, era tutt’altro che allegra. La rosa, ridotta davvero all’osso, era scesa in campo agli ordini di Gary Locke ed era riuscita a strappare una buona vittoria (1-2) ma era chiaro a tutti i presenti (coi tifosi degli Hearts che avevano riempito il settore ospiti) che la gara più importante si stava ancora giocando al di fuori del rettangolo di gioco.

I tifosi degli Hearts al termine della gara

Sono contento di poter raccontare una storia andata a buon fine per entrambe le protagoniste. Il DAFC gioca adesso in Championship e ha tutte le carte in regola per fare una stagione interessante, mentre gli Hearts hanno raccolto due vittorie consecutive in Premiership e, nonostante la loro avventura in League Cup sia già terminata, domenica contro l’Aberdeen possono puntare al terzo successo di fila.

Il programma della gara tra Dunfermline Athletic FC e Hearts

Dunfermline è una cittadina che sorge nel “Kingdom of Fife”, ad una mezz’ora di treno da Edimburgo e facilmente raggiungibile anche con pullman locali. La stazione di riferimento per il centro cittadino e per lo stadio è Dunfermline Town e non Dunfermline Queen Margaret, che si trova più ad est ed è di fatto la stazione per l’ospedale.

Se si sceglie di viaggiare in treno, approfittando del fatto che si passa sul meraviglioso Forth Bridge, quando si scende alla stazione bisogna attraversare il parco pubblico per arrivare in centro o allo stadio, mentre la stazione dei bus (arrivando in bus/pullman da Edimburgo, si passa sul ponte carrabile sul fiordo e si può comunque ammirare il Forth Bridge da fuori) è di fatto in centro.

Uno scorcio della Dunfermline Abbey

L’attrazione del posto è la Abbey, costruita nel XVI secolo e, seppur in rovina, davvero merita una visita. Nella zona attorno alla Abbey era stato sepolto anche Robert The Bruce, il re scozzese entrato nella leggenda con la vittoria di Bannockburn.

Il Palace adiacente alla Abbey è spesso chiuso, anche quando siamo riusciti a visitare la Abbey approfittando di biglietti gratuiti emessi in occasione della festività di St Andrew (il 30 novembre), non siamo riusciti a visitarlo.

Ci sono altri luoghi interessanti, come la St Margarets Cave e la casa-museo di Andrew Carnegie, milionario industriale e filantropo emigrato negli Stati Uniti e che ha avuto un ruolo di primo piano nello sviluppo della sua città natale.

Nelle mie due visite a Dunfermline non ho avuto modo di visitare questi ultimi due luoghi ma ci sarà modo di colmare la lacuna una volta che questa maledetta pandemia sarà definitivamente un ricordo lontano e spiacevole.

Saluti da Dunfermline
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La rivalità più “local” del calcio scozzese (part 1)

La RRS Discovery, con alle spalle il Discovery Point, vista dal V&A

Nel gruppo di appassionati groundhoppers che frequento ogni tanto sui social media, i due stadi di cui parlerò oggi (e domani) sono tra quelli più popolari.

Oltre alle varie particolarità delle strutture, la vera ragione della loro popolarità sta nel fatto di essere separati da 0.2 miglia, poco più di 320 metri. Praticamente due universi paralleli cosi vicini da sfiorarsi, ma cosi lontani da riuscire, anche se con un po’ di impegno, ad ignorarsi.

Sto parlando dei due stadi della città di Dundee: Tannadice Park e Dens Park.

Uno scorcio del Firth of Tay visto dal V&A

Dundee è una città di poco meno di 150mila abitanti che sorge sull’estuario del fiume Tay e sulla costa del fiordo omonimo, ad un niente dal Mare del Nord. La sua posizione geografica ha reso Dundee il porto perfetto e negli anni si è sviluppato come centro del commercio della iuta, una pianta che cresce principalmente in Asia e che viene utilizzata come materia prima nella produzione di svariati manufatti.

Dundee, conosciuta un tempo come la città di “jute, jam and journalism” (jam per la produzione di marmellata, journalism per essere sede di numerose pubblicazioni tra cui i fumetti Oor Wullie e The Dandy) ha vissuto piuttosto male il periodo post-industriale ma negli ultimi anni ha trovato la forza per rinascere.

La statua dedicata ad Oor Wullie all’esterno del The McManus

Il processo di riqualificazione del waterfront è stato ulteriormente acelerato con l’apertura del primo V&A Museum al di fuori di Londra (un vero e proprio gioiello, che davvero merita una visita) e in generale, nonostante ovviamente come ovunque restino zone un po’ difficili, la città, nelle due occasioni in cui l’ho visitata, mi ha davvero lasciato tanti bei ricordi.

Un altro posto che val la pena visitare è il museo della città, dove tra le tante cose esposte si trova anche una stanza con teche dedicate alle due squadre di calcio. Il Dundee United, penultimo club a vincere il titolo di Campione di Scozia al di fuori di Glasgow nel 1982/83 (ultimo è stato l’Aberdeen nel 1984/85, club con cui divideva il nomignolo New Firm) è stato fondato nel 1909 come Dundee Hibernian, vestiva di bianco-verde e solo nel 1969 ha adottato l’arancione come colore della divisa.

Una delle teche riservate alle due squadre cittadine all’interno del The McManus, il museo di Dundee

Il cambio di colori e di nome, effettuato con l’intento di rappresentare una più larga parte della popolazione, ha dato origine anche al soprannome (Tangerines) con cui il club è conosciuto (altri soprannomi sono Terrors e Arabs).

Il Dundee United è stato anche il primo club di Rudi Skacel dopo l’addio agli Hearts, nella stagione 2012/13. Rudi aveva scelto di vestire il numero 51, poco velato richiamo al risultato con cui i Jambos avevano umiliato gli Hibs nella finale di Scottish Cup qualche mese prima. Il ritorno di Rudi al Tynecastle è stato, ovviamente, trionfale e al minuto 51 di quella gara tutto il pubblico (me compreso) si alzò in piedi per omaggiare una delle leggende del club.

Il giorno che Rudi fece il suo ritorno al Tynie con la maglia numero 51 del Dundee United, 23.12.2012

La scelta del numero aveva creato qualche problema al Dundee United durante la visita ad Easter Rd, con Rudi che aveva avuto modo di scambiare opinioni col pubblico e il presidente dei Terrors che aveva addirittura dovuto ammettere che non avevano idea Skacel avesse scelto di vestire la maglia numero 51 per “quel motivo”.

Sono stato una sola volta al Tannadice Park, nella prima gara della stagione 2019/20 quando il Dundee United (guidato, allora, da Robbie Neilson) aveva costruito una squadra per abbandonare, finalmente, il Championship dopo una permanenza nella “serie cadetta” che durava dalla retrocessione al termine della stagione 2015/16.

Uno scorcio del Tannadice Park visto da Tannadice St

Punta di diamante della squadra, Lawrence Shankland, che l’anno precedente, con l’Ayr United, si era messo in mostra ed aveva attratto attenzione di numerosi club di Premiership (e che avrebbe chiuso quell’annata con 24 goal all’attivo).

Avversario di giornata era l’Inverness Caledonian Thistle FC, unica vera rivale dei Terrors per la promozione diretta in Premiership.

Saluti da Dundee – 03.08.2019

Era la mia seconda volta a Dundee (della prima parlerò prossimamente). Come spesso capita, anche in quella occasione ho affrontato la “trasferta” con un viaggio in treno da Waverley in circa un’ora e mezza (consiglio, se possibile, di prenotare con anticipo per risparmiare sul costo del biglietto). La stazione di Dundee è situata sul mare, davvero a due passi dal V&A e da occasione di cominciare la visita alla città nel migliore dei modi.

Il percorso pedonale che porta dal waterfront al Tannadice prevede una strada in salita, piuttosto ripida, perché entrambi gli stadi sono situati nel quartiere Hilltown, che dal nome è facile capire sia costruito su un pendio.

Gli orti che sorgono all’esterno del Tannadice Park

La zona attorno al Tannadice è piuttosto residenziale ma, oltre alla visita allo store, si possono notare gli orti che sorgono nell’angolo alle spalle del Eddie Thompson Stand e del George Fox Stand (dove ho visto quella partita, nella parte bassa).

Tannadice Park ha preso nome e attuale proprietario dal 1909, anno di fondazione del Dundee Hibernian, ma era stato aperto nel 1882 col nome di Clepington Park, ospitando gare casalinghe di diversi club locali.

L’ingresso in campo delle squadre

Nel corso degli anni ha subito diverse trasformazioni, ultima delle quali nel 1997. La capienza è attualmente di poco più di 14,200 spettatori, tutti seduti. Gli stand sono tutti diversi e solo il Carling Stand (The Shed) era chiuso – credo venga aperto solo quando il seguito ospite sia davvero imponente.

Il colpo d’occhio, sia da fuori ma soprattutto da dentro, è davvero interessante e rende il Tannadice Park uno degli stadi più belli di Scozia. Il 2019 segnava il 50esimo anniversario della svolta “arancione” del club e sul programma della partita compare il logo creato per festeggiare l’evento – che richiama i simboli delle strade americane, forse per ricordare anche l’origine della maglia arancione: nel 1967, lo United era stato invitato a giocare nel torneo organizzato dalla United Soccer Association (torneo precursore dell’odierna MLS) col nome di Dallas Tornado, con outfit arancionero, adottando questi colori definitivamente nel 1969.

Scatti dal Tannadice Park

Il giocatore scelto sulla copertina del secondo match programme stagionale, nella prima gara del Championship, era proprio Lawrence Shankland. Quel giorno, l’attaccante nato a Glasgow aveva ripagato la fiducia marcando tutti i quattro goal con cui i Terrors avevano battuto il Caley Jags (4-1 risultato finale), mettendo una serissima ipoteca sulla vittoria del torneo già all’esordio.

Il match programme della gara tra Dundee United e Inverness CT
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Rugby games at Rugby Park

L’ingresso del Frank Beattie Stand del Rugby Park

Non sono mai riuscito a vedere il Kilmarnock FC giocare in casa – devo onestamente ammettere di non avere mai nemmeno iniziato a programmare una gita in East Ayrshire per vedere in azione il Killie – ma sono comunque riuscito a visitare, due volte, il Rugby Park.

Sembra anche appropriato che i due viaggi a Kilmarnock siano stati fatti per vedere partite di rugby, visto il nome dello stadio. L’occasione sono stati due test match autunnali della Scozia che, nel 2014 (contro Tonga) e nel 2016 (contro la Georgia) aveva scelto di giocare in East Ayrshire.

Certo, il fatto di non aver visto una gara di calcio mi impedisce di inserire il Rugby Park nella lista dei miei personali “42” visitati finora, ma l’unicità dell’esperienza fatta rende le due visite a Kilmarnock davvero speciali nella mia memoria.

In viaggio verso il Rugby Park

È passato molto tempo dalla mia prima volta e non ho davvero molti ricordi del pre-gara di quel 22 novembre 2014. Ricordo piuttosto bene la gara e ricordo che ero piuttosto nervoso, perché non conoscevo per nulla la zona e non sapevo quali fossero le procedure di accesso alla struttura.

Nel 2014 ero arrivato a Kilmarnock in auto (non guidavo io), mentre nel 2016 mi ero spostato col treno. In entrambe le occasioni, ero andato alla gara per scrivere articoli e in entrambe le occasioni avevo l’accredito per la tribuna stampa, che è situata nella parte più alta del Frank Beattie Stand (il main stand dello stadio).

Il Rugby Park visto da fuori (novembre 2014)

In entrambe le occasioni, le gare del Rugby Park chiudevano l’autunno internazionale della Scozia e la sfida contro la Georgia nel 2016 è stata l’ultima gara casalinga che i Dark Blues hanno giocato lontano dal BT Murrayfield, la casa del rugby scozzese.

I match programme dei due test match giocati al Rugby Park

Nel 2012 ancora Tonga era stata la squadra che ha sfidato la Scozia lontano dall capitale, al Pittodrie Stadium di Aberdeen (parlerò di questo viaggio prossimamente), centrando una vittoria clamorosa che aveva messo Andy Robinson, allora head coach della Scozia, nelle condizioni di dimettersi una settimana più tardi.

Vista del Rugby Park da bordo campo, nell’angolo tra Moffat Stand e Frank Beattie Stand

Il test match del 2014 era quindi la prima occasione per i Dark Blues di “prendersi una rivincita” con gli ‘Ikale Tahi e Greig Laidlaw e compagni, pur non giocando una partita strepitosa, non se la sono fatta scappare.

Nel 2016, invece era la Georgia l’avversario di turno, una nazionale che si trova sul confine tra Tier 2 e Tier 1 e che negli ultimi anni non ha mai nascosto grandi ambizioni, tra cui quella di poter entrare a far parte del Six Nations.

Scozia e Georgia schierate per gli inni nazionali, 26 novembre 2016

Il Rugby Park è stato aperto nel 1899 e da allora è sempre stata la casa del Kilmarnock FC. Ha subito, nel corso degli anni, diversi lavori di ristrutturazione alla struttura e, recentemente (nell’estate 2014), il club ha anche deciso di installare un terreno di gioco sintetico che, a mio parere, non è stata una scelta felicissima.

Lo stadio è composto da quattro stand, tutti coperti e solo il Main Stand presenta restricted view in alcuni punti. La vera celebrità locale è la Killie Pie (adesso chiamata Kilmarnock Pie), prodotta da Brownings The Bakers (sponsor anche della squadra di calcio) e davvero una delle pies più buone che abbia avuto occasione di mangiare – non sono un esperto ma mi piacciono molto le pies e ne ho provate parecchie in questi anni, fidatevi!

The Killie Pie – ora nota come Kilmarnock Pie

Da Edimburgo si arriva a Kilmarnock piuttosto comodamente in treno, ma si deve cambiare a Glasgow – arrivo a Queen St, due passi a piedi verso Glasgow Central e poi treno verso l’East Ayrshire. Ci sono treni con diverse destinazioni che arrivano a Kilmarnock, consiglio di controllare la app o il sito di ScotRail prima di mettersi in viaggio.

Dalla stazione allo stadio ci si arriva a piedi, in una ventina di minuti – la distanza è poco meno di un miglio. Si passa attraverso la cittadina arrivando allo stadio lato settore ospiti (il Chadwick Stand) e consiglio di passare di fronte al main stand, dove si trova lo shop e si può visitare il bar.

Il Moffat Stand

Kilmarnock non è propriamente una destinazione turistica e non ricordo di aver trovato, nelle due occasioni in cui ci sono stato, monumenti o edifici particolari che hanno attratto la mia attenzione. In centro ho però visto alcune sculture piuttosto bizzarre – come quella del subacqueo e del pesce – e non poteva davvero mancare la statua dedicata a Rabbie Burns, il bardo che ha reso l’Ayrshire famoso nel mondo.

La statua dedicata a Rabbie Burns

Burns (nato vicino ad Ayr) è vissuto nella seconda metà del diciottesimo secolo e con le sue opere (poesie e testi lirici) scritte soprattutto in scozzese, ha contribuito in maniera determinante a mettere la Scozia sulla mappa letteraria dell’Europa contemporanea.

Di tutte le sue opere, Tam o’ Shanter è decisamente la mia preferita ma non posso non citare Auld Lang Syne, un poema scritto da Burns sul tema di una canzone popolare diventato ormai un vero e proprio inno da cantare a mezzanotte di ogni Hogmanay.

Saluti da Kilmarnock
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Norwegian Wood(work)

Il Main Stand di Ochilview Park – The Norway Stand

Il motivo per cui mi sono appassionato allo Stenhousemuir è piuttosto singolare. Premetto che, prima di trasferirmi in Scozia, non conoscevo il club e anche per molti mesi anche dopo aver iniziato la mia “nuova vita” quassù, non avevo chiarissima idea di dove collocare Ochilview Park su una mappa della Scozia.

Non so nemmeno bene come sia successo, ma un giorno ho trovato tra le notifiche di Twitter che lo Stenhousemuir mi seguiva. Vado a controllare ed effettivamente quello era davvero il profilo ufficiale del club.

L’interno del main stand

Ovviamente ho subito ricambiato e ho cominciato ad informarmi, ogni fine settimana, sui risultati dello Stenny. Il club (che ha la maglia maroon come gli Hearts) ha anche un altro soprannome (Warriors) che credo sia il motivo del following su Twitter: all’epoca (ma anche adesso) scrivevo quasi esclusivamente di rugby e citavo, ovviamente, sia Edinburgh Rugby che i Glasgow Warriors e proprio i Glaswegians, che dividono il nome con il club, devono essere la ragione dietro tutto questo.

Poco male, un ulteriore motivo per simpatizzare ancora di più per entrambe se la mia teoria, alla fine, si rivelasse davvero esatta!

Con queste premesse, ho impiegato ben sei anni prima di salire su un treno per Larbert e andare, finalmente, a vedere una gara casalinga dello Stenhousemuir.

Il mio biglietto del treno

Li avevo già visti giocare al Tynecastle in League Cup ma, ovviamente, avevo voglia di vedere Ochilview Park e di gustarmi una loro gara tra le mura amiche. L’occasione è arrivata sabato 21 settembre 2019 per la gara contro il Brechin City, valida per il settimo turno della stagione 2019/20 di League 2.

Stenhousemuir è una cittadina della Central Belt che sorge a poche miglia da Falkirk. Dal punto di vista strettamente “turistico”, ahimè, non riserva grandi sorprese anche contando che l’unico monumento (una casa di pietra di epoca romana, la “stone house” che dava il nome al paese) è stata abbattuta nel Settecento e, se consiglio una gita ad Ochilview, se viaggiate coi mezzi come me cercate di arrivare alla stazione di Larbert con un’ora di anticipo sul kick off in modo da percorrere con calma la strada che separa la stazione dallo stadio, mangiarvi una pie e prendere posto.

Ochilview Park appare tra le case

Perché il piatto forte del giorno è proprio Ochilview Park e il suo Norway Stand.

Da Edimburgo c’è un treno ogni mezz’ora circa, destinazione Dunblane, che vi porta a Larbert in poco meno di quaranta minuti. Dalla stazione, svoltate a sinistra sulla strada principale e proseguite sempre dritti, ad un certo punto vedrete un supermercato (ASDA) sulla destra e a sinistra, tra le case, spunteranno i riflettori dello stadio.

Ingresso in campo dei giocatori

Ochilview Park è uno stadio davvero piccolo e molto “basic” ma, anche per questo, a me piace molto. Il club è una “Community Interest Company” ed è gestito da un Trust formato da chi ne detiene le quote.

Come spiega molto chiaramente il sito ufficiale del Club, “The ‘Warriors Supporters Trust’ is registered with the Financial Services Agency as a not-for-profit Industrial and Provident Society. It was established in 2003. It works with the Board of the football club and the Supporters Club to develop a more successful football club.

It is a democratic organisation based on one vote per person, and its committee is elected every year by the members. It is the largest shareholder in the club with 20 % of the shares so that no individual(s) can wrest the control of the club away from its supporters.

Pie e match programme ufficiale della gara tra Stenhousemuir e Brechin City

Ma soprattutto, “A Supporters’ Trust is an organization formed by fans to strengthen the bonds between the club and the community, and to represent the interests of the community in the running of the club.

Insomma, questa dimensione popolare del club (fondato nel 1884) mi ha ulteriormente avvicinato allo Stenhousemuir e il giorno che finalmente sono riuscito ad andare ad Ochilview Park, ho davvero realizzato uno dei miei “sogni” calcistici.

Lo stadio, come detto, è piccolo e ha una terrace dietro la porta (coperta coi soldi e il lavoro dei membri del Trust) e un Main Stand (su cui campeggiano due riflettori molto simili a quelli che ho trovato ad Arbroath e Greenock) che si chiama “Norway Stand” ed è sponsorizzato dal Norwegian Supporter’s Club.

Altra foto del The Norway Stand dall’esterno

Ma come sono arrivati, i Warriors, ad avere tifosi norvegesi cosi appassionati da fondare un club e addirittura sponsorizzare il Main Stand di Ochilview?

La spiegazione la dà Nutmeg, periodico scozzese che si occupa di calcio (articolo ripreso dal sito ufficiale del club): ““It was the name,” explained Georg Mathisen, current chair of Stenhousemuir’s now well-established Norwegian supporters’ club. “The group’s founders – Rolf Wulff, Christian Wulff and Kjell Jarslett – were browsing through Teletext on New Year’s Eve 1992 and saw the name and thought it sounded unusual. It also bears great resemblance to the old Norse language and when you break the name down into its constituent parts it means Stone (Sten) house (house) muir – that last part is open to different interpretation. Many people agree that it means ‘wall’, but it could also come from the word ‘myr’ – which is pronounced similarly to muir – meaning bog or marsh. Either way, they thought that this would be a good team to follow.”

Un momento della gara con la terrace sullo sfondo

Insomma, il calcio può essere talmente strano che puoi scegliere di diventare appassionato di un club di quarta divisione scozzese pur vivendo in Norvegia. Meraviglioso.

Il meteo, quel giorno, è stato più che clemente regalandomi un pomeriggio di sole a picco. Lo Stenny si impose 1-0 davanti a 435 spettatori (dato ufficiale fornito dal club). Avrei pagato pegno, a tutta questa fortuna, al ritorno. Un guasto sulla linea ferroviaria mi costrinse, infatti, a prendere uno degli ultimi treni verso Glasgow Queen St e, da qui, son riuscito a saltare sull’ultimo treno in partenza per Edimburgo (davvero gremito all’inverosimile).

Ma, come si dice da queste parti, you can’t have it all, can you?

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Dal Tynecastle Stadium al Tynecastle Park

Il nuovo Main Stand – “Away up in Gorgie at Tynecastle Park…”

Arrivando ad Edimburgo nell’ottobre 2012, senza saperlo ovviamente, ho avuto la fortuna di vivere la transizione della casa degli Hearts da Tynceastle Stadium alla vecchia denominazione, Tynecastle Park, ma con un Main Stand nuovo di zecca.

Ero stato al Tynie una volta sola, prima di trasferirmi stabilmente in Scozia. Era l’agosto 2011, eravamo in Scozia per una vacanza e mi ricordo di essere riuscito, dall’Italia, ad acquistare un biglietto nel Wheatfield Stand per il primo derby stagionale.

Riscaldamento pre-derby per gli Hearts con il vecchio Main Stand sullo sfondo, agosto 2011

Quella stagione sarebbe entrata di diritto nella Storia del club, dalla porta principale e con tanto di parata trionfale, ma quel giorno di agosto (sotto un cielo plumbeo e con tanta pioggia) l’attenzione di tutti era concentrata su quel derby – nessuno immaginava, infatti, che la stagione si sarebbe chiusa con un altro derby, quello dell’1-5 ad Hampden Park nella finale di Scottish Cup.

Il vecchio Main Stand da un’altra prospettiva

Ricordo piuttosto bene la cornice della gara, ovvero il pubblico numeroso sugli spalti, ricordo le bandiere e i cori e l’atmosfera ostile quanto basta. Non ricordo molto della partita, era tutto troppo nuovo per me per riuscire a godermi tutta l’esperienza ma ricordo di essere stato colpito dallo stadio.

Il vecchio edificio che ospitava Clubstore e ticket office fuori dal vecchio Main Stand, ottobre 2012

Il piazzale antistante il vecchio Main Stand era piuttosto caotico, tanti edifici uno sopra l’altro che toglievano la possibilità di ammirare lo stand disegnato da Archibald Leitch in tutto il suo splendore. Da dentro, comunque, quello stand era davvero un gioiellino: tutto in legno, molto più basso degli altri tre stand che lo circondavano, piuttosto scomodo ma decisamente di grande impatto. Insomma, una vera e propria “macchina del tempo”.

Vista dell’interno del vecchio Main Stand lato Gorgie Stand

Il mio stand preferito al Tynie è il Gorgie Stand, perché ho sempre preferito vedere le gare di calcio da dietro la porta, perché mi dà l’illusione di un’esperienza “da gradinata” (nonostante sia tutto seggiolini e obbligo di star seduto) e in generale mi fa “sentire a casa”.

Il nuovo Main Stand visto dal Gorgie Stand

Sono stato qualche volta nel vecchio Main Stand per partite dell’U21 degli Hearts e una gara della Nazionale femminile scozzese (contro l’Olanda, gara di playoff per la qualificazione alla Coppa del Mondo 2015 in Canada) ma non ho mai visto una gara degli Hearts, nemmeno un’amichevole.

Mi piaceva di più vederlo da fuori che viverlo, onestamente, ma non per la restricted view causata dai piloni o perché i seggiolini in legno erano scomodi e stretti. Mi piaceva vederlo da fuori perché era davvero bello da vedere e perché dava anche a partite tutt’altro che entusiasmanti una certa aria “romantica” – che, quando non sfocia nello storytelling, fa anche piacere vivere.

Scozia e Olanda Femminile schierate in attesa degli inni nazionali, ottobre 2014

La transizione tra vecchio e nuovo Main Stand non è stata del tutto indolore, ma devo ammettere che quando il club (guidato da Ann Budge dopo che il grandissimo lavoro della Foundation of Hearts col supporto dei tifosi aveva di fatto salvato gli Hearts dal fallimento) ha preso la decisione di abbattere il vecchio stand per costruirne uno nuovo e più funzionale alle esigenze di un club di calcio in era moderna, lo ha fatto in tempi davvero rapidi.

Prima, durante e dopo: com’è cambiato il Main Stand da dentro e da fuori

Il vecchio Main Stand, quello progettato dal “mitico” architetto Archibald Leitch, era stato inaugurato nell’ottobre 1914 e avrebbe assistito a gare degli Hearts per oltre un secolo, nella buona e nella cattiva sorte. Leitch si è creato la fama progettando diversi stand in giro per la Gran Bretagna; portano la sua firma, tra gli altri, uno stand di Goodison Park (casa dell’Everton) e uno stand di Ibrox Park (casa dei Rangers), due stadi che purtroppo non sono ancora riuscito a visitare di persona.

Il vecchio Main Stand visto dal Gorgie Stand

Sembra quasi incredibile per me, ma la conformazione del Tynecastle Stadium del 2011 era tale solo da poco meno di vent’anni. Infatti il Wheatfield Stand è stato completato nel 1994, seguito a ruota dal Roseburn Stand (ospiti) e solo nel 1997 era stato chiuso il cerchio con il Gorgie Stand, mentre il Main Stand – fino a quel momento l’unico stand coperto – si era ritrovato, di colpo, ad essere non solo il più vecchio ma anche l’unico da sistemare.

Alcuni dei murales presenti all’interno del nuovo Main Stand

E pensare che, negli anni, si era anche pensato di spostare gli Hearts da Gorgie. Pazzesco anche solo pensarlo, cosi come sarebbe davvero stato pazzesco pensare di fondere Hearts e Hibs creando un’unica squadra di Edimburgo (orribile pensiero che è passato anche da più di una testa a Dundee).

Lavori in corso, estate 2017

Insomma, dopo tante discussioni ed ipotesi nel 2017 si era finalmente deciso che il Leitch Stand doveva essere abbattuto per far posto ad un nuovo Main Stand, più funzionale e più moderno che avrebbe trasformato il Tynecastle in una vera e propria fortezza senza però togliergli l’anima, operazione che a mio parere non è riuscita invece con Easter Rd.

Foto del vecchio Main Stand

Gli Hearts avevano giocato qualche partita al Tynecastle durante il periodo di demolizione/ricostruzione, soprattutto test estivi e gare di League Cup, mentre per il campionato il club, di concerto con la SPFL, avevano strutturato il calendario con più gare in trasferta ad inizio stagione e le poche gare casalinghe sono state giocate al BT Murrayfield – di cui ho parlato in precedenza.

La vista dal nuovo Main Stand (Scozia-Andorra U21)

Ritardi “fisiologici” avevano costretto gli Hearts a rimandare di un’altra settimana il “debutto” al Tynecastle Park ma domenica 19 novembre 2017, ospitando il Partick Thistle nel posticipo del quattordicesimo turno, i Jambos erano finalmente tornati a casa.

Il Main Stand era completo nella struttura ma moltissime aree erano ancora off limit, cosi come gli spogliatoi erano ancora collocati sotto il Wheatfield Stand. Poco male, perché i tifosi volevano solo tornare tra le mura amiche e riassaporare l’atmosfera di una gara al Tynie.

I fuochi d’artificio accolgono Hearts e Partick Thistle in campo nel match che ha inaugurato il nuovo Main Stand

Ricordo bene i fuochi d’artificio e l’inno degli Hearts cantato, chitarra e voce, da Scott Hutchison al centro del campo. Bellissimi ricordi, indelebili. La squadra, quell’anno, stava purtroppo attraversando un momento di transizione con la fallita “rivoluzione” di Cathro e si preparava, senza saperlo, agli anni successivi che avrebbero portato delusioni e una retrocessione ancora difficile da digerire.

L’anno di pandemia, poi, ha costretto tutti ad un’assenza forzata dagli stadi. La speranza è ormai che presto si possa tornare a vedere il calcio dal vivo, si possa tornare al Tynie e si possa tornare a sognare.

L’esterno del nuovo Main Stand e biglietto e match programme della prima gara giocata al Tynecastle Park